L'ultimo derby di campionato (potrebbero essercene altri in questa stagione in Champions League e Copa del Rey) della storia del Vicente Calderòn rimarrà scolpito nella memoria degli aficionados di Real e Atletico. E non, come avrebbero desiderato i tifosi colchoneros, per un addio in grande stile a un monumento della storia roquiblanca, bensì per un trionfo degli odiati rivali merengues, venuti a ripristinare le gerarchie domestiche dopo anni di difficoltà nelle stracittadine di Liga. 

Lo 0-3 di ieri sera è un risultato che sorprende, soprattutto per le proporzioni e per la capacità del Real di tenere a bada la furia degli uomini di Simeone, ancor più inatteso se si considerano le assenze causa infortunio tra le fila della Casa Blanca. Pepe, Sergio Ramos, Casemiro, Toni Kroos, Karim Benzema, Alvaro Morata, tutti fuori per acciacchi assortiti, una serie di defezioni che si pensava avrebbe inciso sul derby, e che invece ha consentito a Zidare di varare uno schieramento più accorto e pieno zeppo di trappole per i suoi avversari. Per una sera è stato definitivamente accantonato il 4-3-3 (anche nella sua variante ibrida), per lasciar spazio a un 4-2-3-1 di matrice difensiva, in cui Lucas Vazquez e Gareth Bale hanno fatto più gli esterni di centrocampo che gli uomini offensivi. Il duo croato formato da Luka Modric e Mateo Kovacic ha risolto il problema relativo all'uomo da schierare davanti alla difesa, mentre a Cristiano Ronaldo è stato lasciato il ruolo di prima punta, assecondandone le sempre più spiccate caratteristiche di realizzatore, piuttosto che quelle di ala sinistra.

Ma il giocatore chiave per il successo del Real è stato Franciso Alarcòn, al secolo Isco, il malagueno schierato da trequartista dietro CR7, che ha sfoderato una prestazione da annali, sciorinando il meglio del suo repertorio tecnico e mandando spesso a vuoto il pressing dell'Atletico.

Al resto ha pensato anche la Dea Bendata, se è vero che il primo gol è stato causato da una deviazione maldestra di Savic e che il secondo è giunto su un rigore quantomeno dubbio. Dal derby dello scorso febbraio al Santiago Bernabeu - vinto dai colchoneros con gol di Griezmann - Zidane non ha più perso in Liga, mettendo insieme una striscia di risultati da fare invidia ai grandi Real del passato. Il cerchio si è chiuso ieri, con una vittoria che spazza via gli ultimi dubbi sulle capacità del francese di gestire tatticamente, oltre che a livello umano, un vestuario del calibro di quello del Madrid. 

Sull'altra sponda del Manzanarre si interroga invece Diego Pablo Simeone. Il suo Atletico sembra aver perso - quantomeno in campionato, perchè in Champions è primo nel suo girone davanti al Bayern - parte delle proprie certezze, soprattutto dal punto di vista difensivo. Otto gol subiti nelle ultime quattro partite spiegano meglio di ogni altro dato le difficoltà dei colchoneros, che da inizio stagione stanno provando a far evolvere il loro gioco, eliminando un incontrista (k.o. Augusto Fernandez, con Koke accanto a Gabi) e inserendo due esterni di centrocampo offensivi, come Carrasco e Saùl. In difesa la scelta di puntare su Savic anzichè sul ruvido Josema Gimenez non ha al momento pagato, perchè ora l'Atleti va in difficoltà anche in situazioni di gioco che solo pochi mesi fa erano controllate senza problemi. C'è poi il fattore psicologico, che risale alla seconda finale di Champions League persa contro il Real, quella di Milano: lì Simeone avrebbe voluto chiudere la sua avventura in roquiblanco, lì la sua squadra si è emotivamente arenata. Fame, rabbia agonistica, foga atletica ci sono sempre, ma appaiono sprazzi di nervosismo, piuttosto che un elemento indelebile dell'identità del gruppo.

Ora l'Atletico è a nove punti dalla vetta, occupata dai cugini, a cinque dal Barcellona e alle spalle anche del Siviglia di Sampaoli. La Liga è con ogni probabilità andata, ma ci sono ancora una Champions e una Copa del Rey da conquistare. Ecco perchè sarà necessario fare chiarezza sul futuro dell'allenatore (al quale è stato concesso di ridurre di un anno il suo legame con il club, altro segnale contraddittorio) e sulla questione tattica. I colchoneros sono arrivati tra le grandi d'Europa tramite il Cholismo (difesa, aggressività e furore agonistico): provare ad annacquare questa identità potrebbe essere controproducente.