Poco più di 20mila kmq di superficie, confinata nell'estremo est del mar Mediterraneo e con affianco Stati mai stati “amici per la pelle”: la storia di Israele è dalla sua fondazione oggetto di discussioni, in primis a livello geopolitico, asprissime che non hanno mai cessato di convertirsi in violenti scontri armati. Dove le forze sioniste hanno sempre vinto, fin dalla guerra arabo-israelina del '48.
In questo clima di fuoco a livello internazionale, non può mancare ovviamente la parte dedicata al mondo del calcio, di “contorno” a uno Stato che non ha mai ottenuto grandi successi su questo fronte. E che in quest'ultimo avamposto di Occidente esisteva già 20 anni prima della nascista dello Stato, sotto il nome di Associazione calcio della Palestina/Eretz Israele nel 1928 e oggi Federazione calcistica d'Israele (IFA). Nel 1929 entrò nella FIFA e fino al '74 faceva parte dell'AFC, poi estromessa dalle pressioni dei Paesi arabi.
Dal '94 è quindi membro permanente della UEFA, motivo per cui le squadre israeliane partecipano alla Champions League ed Europa League. All'Europeo non ha invece mai partecipato, in quanto la Nazionale maggiore non si è mai riuscita a qualificare, mentre i gli unici successi internazionali si sono registrati nella Coppa d'Asia: secondo posto nel '56 e '60, campione nell'edizione casalinga nel '64 e terza in quella successiva. Nel '72, ritirandosi dalla manifestazione in Thailandia, dirà addio definitivamente alla massima competizione continentale.
La piega che ha preso da inizio XXI secolo il football israeliano risente tantissimo della (cattiva) politica dei governi succedutisi al potere, soprattutto in chiave anti-Palestina: i gruppi ultras legati alla destra sionista e ultra-nazionalista del Beitar Gerusalemme, per esempio, hanno più volte intonato cori ed esposto striscioni sugli spalti inneggianti alla “purezza etnica”, causando dal 2005 penalizzazioni in campionato al club del miliardario di origine russa Arkady Gaydamak. Il quale, fatto alquanto curioso, finanzia anche l'Ihud Bnei Sakhnin, insieme all'emiro del Qatar Hamad bin Khalifa Al Thani, squadra composta da giocatori ebrei e arabo-israeliani.
Dell'altra sponda politica sono, invece, i tifosi dell'Hapoel Tel Aviv, club legato al sindacato socialista e sionista dell'Histadrut, attivo in Palestina già sotto il mandato inglese durante le due guerre mondiali. Esistono poi gemellaggi e rivalità tra le tifoserie locali e quelle europee: come riporta il sito “Salem news”, infatti, gli ultras del Maccabi Tel Aviv sono vicini a quelli dell'Ajax in quanto notoriamente sionisti, a differenza dei rivali del Feyenoord. Tra le due compagini di Tel Aviv, inoltre, c'è una divisione politica accentuata dalla rivalità stracittadina.
Comunque sia, il connubio calcio-politica, continua Adam Keller su “Salem news”, è più debole rispetto agli albori della storia di Israele. Ma ciò non significa che non esista ancora: “il calcio – scrive - ha subito privatizzazione. Le squadre, soprattutto nella massima serie, sono di proprietà di capitalisti privati, non sono controllati dai centri di Hapoel o Beitar. E la politica hanno subito un cambiamento, i partiti non sono più forti e vincolanti, come negli anni '50.
Ora tutto è aperto, quasi chiunque da qualsiasi classe sociale può supportare qualsiasi squadra, con pochissime eccezioni. Suppongo che anche oggi, una persona da una famiglia Kahanist, fortemente razzista, non sarebbe mai stato un fan di Hapoel e viceversa, una famiglia con una profonda tradizione di sinistra non avrebbe sostenuto Beitar. Ma queste sono le eccezioni”.
Insomma, se è vero che le “carte sono mischiate”, è anche vero che i movimenti organizzati di ultras estremisti in uno Stato così bollente dal punto di vista sociale è una pericolosa miccia: solo l'anno scorso, a seguito di scontri e di lanci di fumogeni e petardi in campo nella trasferta di qualificazione di Europa League sul campo dei belgi del Charleroi, è stato chiesto di mettere fuorilegge il gruppo “La Familia”, focolare nazionalista del Beitar Gerusalemme (fonte Sportal): nel bel mezzo della terza intifada, con i civili palestinesi allo stremo per le condizioni di vita a cui sono costretti da Israele e che le stesse Nazioni Unite hanno denunciato, lo spettro di violenze da dentro a fuori degli stadi è sempre meno un'ipotesi.
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