A due mesi di distanza dal suo ritiro, avvenuto al termine della Vuelta a Espana vinta da Chris Froome, nella sua Madrid, Alberto Contador si gode relax e riposo, dopo una carriera irripetibile. Non solo per i successi ottenuti, ma per le emozioni che ha saputo regalare, ricordi indelebili nella mente degli appassionati e dei suoi tifosi. Il Pistolero spiega di non avere dubbi: l'ipotesi rientro non è al vaglio. D'altronde, la chiusura con il trionfo sull'Angliru è stata il finale degno di una fantastica cavalcata.
Intervistato per La Gazzetta dello Sport da Luca Gialanella, l'uomo di Pinto racconta le sue prime settimane da ex corridore: "La cosa più bella di questi primi mesi è svegliarsi senza pensare al giorno dopo. Arrivi in un momento in cui devi analizzare la tua vita. E il ciclismo è stata una grandissima parte della mia vita, una grandissima passione, ma non è la mia vita. Sono stato un privilegiato, mi sento superfortunato per quello che ho fatto, per l’affetto che ho ricevuto dalla gente: il ritiro alla fine della Vuelta non poteva essere migliore. Il ciclismo non mi manca. Sono stato felice per quindici anni. Ho dato più del 100%, ho dato tutto il mio tempo a questo sport, ma adesso ho il resto della vita per vivere e divertirmi. Resto qualche giorno concentrato, e in altri momenti penso a mille altre cose: vacanze, hobby. Mi sveglio verso le 9 e mezza. Ecco, non ho più la schiavitù del riposo e dell’allenamento. Prima, tutto era dedicato a questo, per essere al massimo. Quando sei professionista, ti alleni in bici e ti devi allenare anche quando sei di riposo. Anche dopo quattro ore di allenamento, ti devi allenare a casa. A mangiare, a riposarti, e così via, sono le piccole cose che ti consentono di vincere. La vita del ciclista è la schiavitù anche dei piccoli dettagli. Soprattutto a livello mentale è durissima. Avevo la nausea di tutte queste cose". Contador non tornerà: "No, nessun ritorno. Ho tanti progetti e obiettivi, e nessuno come direttore sportivo".
Nessuna prospettiva politica, se non come direttore della sua fondazione, per un corridore che ha amato tantissimo il Giro d'Italia, definito come la corsa preferita, per "la passione dei tifosi, incredibile. Sostengono tutti, conoscono tutti i nomi di squadre e ciclisti. Per me, ha sempre fatto la differenza". Al Giro è legato anche il ricordo più bello: "Nel 2008, non conoscevo il pubblico italiano e i percorsi, arrivai all’ultimo momento chiamato dalla squadra, vinsi. Emozione fortissima". E poi Marco Pantani, idolo italiano: "Io sono cresciuto con lo stimolo di Indurain. Marco lo guardavo in tv, poi l’ho studiato in video. Mi mettevo a casa a guardare le corse, e da Marco mi aspettavo di tutto da un momento all’altro. Con lui poteva succedere sempre qualcosa, anche un attacco kamikaze da lontano. Dava emozione, sempre. Un giorno prendeva tre o quattro minuti a cronometro, e il giorno dopo provava a recuperare. Ha vinto un Giro e un Tour, ma per la gente è come se avesse vinto cinque Giri e cinque Tour. Non c’è mai più stato un corridore così emozionante. Ho avuto modo di conoscerlo al Gp Amorebieta 2003, durante la mia prima stagione. So che corre, così vado a cercarlo. Gli dico: “Sono Alberto Contador, è un onore per me conoscerti”. E lui, in modo molto gentile, “grazie mille”. Pantani per me non era uno qualsiasi, era un corridore da rispettare. Forse in me c’è stato lo spirito di Marco. Sono sempre stato un corridore anticonformista: meglio rischiare e perdere tutto, per cercare di essere primo, piuttosto che accontentarmi del secondo posto. Alla Vuelta, dopo Andorra (perse 2’33” da Nibali, ndr), sul bus della squadra dissi: “Anche se tutto va male, il podio è facile. Ma se c’è anche una sola, una sola possibilità di ribaltare la corsa, io la voglio sfruttare”. Sono sempre arrivato morto al traguardo, ma con la soddisfazione più grande: il riconoscimento del tuo valore dalla gente".