Questo è il ciclismo. Fatto di cadute, forature, problemi tecnici, fughe, crisi... al netto di radioline e (noiose) strategie alla fine è sulla strada che si fanno le corse, che si scrivono i nomi sugli albi d'oro. I "se", e i "ma" solitamente contano come il due di bastoni quando la briscola è spade, eppure un'attenta analisi non può prescindere da questi, essenziali, dettagli. La centounesima edizione del Giro delle Fiandre ha raccontato un'impresa epica, da antologia, ma è stata una corsa strana, un'equazione talmente complessa la cui incognita finale si è definita sul profilo eroico di Philippe Gilbert.
La stranezza del Fiandre 2017 ha iniziato a palesarsi al chilometro 171, quando la formazione faro di queste corse, la Quick-Step Floors ha cercato di far saltare il banco: Matteo Trentin, Philippe Gilbert e Tom Boonen, mica tre a caso, hanno sorpreso l'intera BMC e l'uomo solo contro il mondo, Peter Sagan. Da lì è stato un apparente inseguimento: il drappello Quick-Step, coadiuvato da un'altra manciata di corridori, si è involato verso l'Oude Kwaremont (55km al traguardo), il confine ultimo per riprendere i fuggitivi. Dietro, in realtà, la situazione era calma.
Il vantaggio del drappello Quick-Step si è adagiato attorno al minuto abbondante fino al fatidico chilometro 206 quando allo squadrone belga è balenata l'idea di consumare quello che aveva tutte le carte in regola per essere un perfetto suicidio: sparata di Gilbert che ha staccato tutti partendo per l'impresa da libro cuore. Cinquantacinque chiilometri di fuga solitaria, sei muri da affrontare, tra i quali il secondo passaggio sul vecchio Kwaremont e il Paterberg, con un intero gruppo alle sue calcagna.
Fermiamoci un secondo per ricapitolare: la squadra più forte decide di prendere in mano la corsa con tre uomini e si costruisce grosse chance di vincere la Classica, i favoritissimi (Sagan e Van Avermaet) che come polli cascano nella trappolona, ma non reagiscono e la stessa squadrona che con un poker servito in mano decide di foldare inviando nella terra di nessuno Gilbert per un'avventura di cinquantacinque chilometri: strano.
Scorrono 30.000 metri nella confusione generale, buoni alla narrazione solo per il ricongiungimento del gruppo Van Avermaet/Sagan con quello di Tom Boonen, fino a che le bici della divinità belga decidono che lui non dovrà più calcare il palco nella sua ultima recita al Fiandre, lasciando la strada all'inseguimento senza intoppi dei più quotati corridori in gruppo. Il vantaggio di un minuto in vista degli ultimi dieci chilometri di piatto assoluto e la lotta 1 contro 4, le ruote di Sagan e Van Avermaet si sommavano a quelle di Van Baarle e di Naesen, lasciavano davvero poche speranze all'ex iridato Gilbert, le cui smorfie sul Paterberg suonavano come un elogio funebre.
Come se non bastasse poi, Sagan, ha acceso il motore sull'Oude Kwaremont e il sorriso di tutti i fan del campione del mondo ha popolato milioni di divani in tutta Europa. Alt, seconda pausa necessaria: Philippe Gilbert ha un minuto di vantaggio sul campione del mondo, sul campione olimpico, su Van Baarle, su Oliver Naesen e su un sornione Niki Terpstra che fino a quel punto, complice il compagno davanti in fuga, ha tirato per metri zero. Ah, ma quindi Sagan e Van Avermaet non si erano lasciati sorprendere, bensì avevano lasciato sfogare e sfiancare la squadra più forte! Oppure no e il suicidio di Gilbert era un rischio calcolato per tenere al riparo Terpstra da obblighi di sforzo! Un sacrificio illustre sull'altare degli Dei del ciclismo. Chi è il gatto e chi il topo? Nessuno lo saprà mai, perchè il pavé aveva scritto una storia estranea a tutte le ammiraglie: Peter Sagan, ingranando la sesta, scelse il lato sbagliato della strada agganciando con il pedale le transenne poste a contenere lo straordinario pubblico fiammingo e distruggendo nella caduta la sua bicicletta. Una caduta che ha coinvolto inevitabilmente anche coloro che stavano a ruota al treno slovacco facendo perdere a Van Avermaet&Co almeno venti secondi.
Le preghiere apocalittiche di Gilbert si sono trasformate in un'ode celestiale al campione vallone che ha posto la sua firma su una delle gare più indecifrabili del ciclismo moderno. Nessuno ci ha capito qualcosa fino alla linea del traguardo. Lì la strada ha parlato.