Il futuro delle grandi corse a tappe si chiama Nairo Quintana. Froome, Nibali e Contador hanno oltrepassato la soglia dei 30 anni e nel medio periodo saranno costretti a lasciare lo scettro a corridori più giovani come lui.
Con ogni probabilità saranno Aru, Van Garderen, Pinot e Bardet le insidie maggiori per un atleta che ha tutte le carte in regola per fare incetta di grandi giri.
Il suo palmares all'età di 25 anni è già di tutto rispetto: un Giro d'Italia, due secondi posti al Tour de France, una Tirreno Adriatico, due Vuelta a Burgos, un Tour de San Luiss,un Giro dei Paesi Baschi, una Route du Sud più due vittorie di tappa al Giro e una al Tour.
Il colombiano è al momento lo scalatore migliore in gruppo, superiore anche a quell'Alberto Contador che sembra aver perso lo smalto dei giorni migliori.
Quando si alza sui pedali e mulina il lungo rapporto Quintana ha un passo che in pochi riescono a sostenere; una progressione che diventa ancora più efficace nelle ultime settimane delle grandi corse a tappe, come ha dimostrato nei due Tour disputati e al Giro d'Italia dello scorso anno.
Sono proprio la resistenza e la naturalezza nell'affrontare le salite, tipica dei colombiani, che lo rendono un corridore straordinario. Fino adesso, però, Nairo Quintana ha sempre lasciato una sensazione di incompiutezza, un po' di amaro in bocca per una condotta di gara non sempre lucidissima.
Questo Tour de France ne è la perfetta esemplificazione. A conti fatti, Quintana perderà la Grande Boucle per colpa del ventaglio alla seconda tappa; un minuto e mezzo lasciato per strada per un po' di distrazione e di superficialità che un corridore che punta alla vittoria finale non può avere.
Di spazio, però, per recuperare ce n'era tanto e lo ha dimostrato lo stesso colombiano, capace di recuperare quasi due minuti a Chris Froome nelle ultime due frazioni alpine.
Ciò significa che Quintana ha chiuso il Tour in crescendo, dimostrando di essere nettamente il più forte in salita. La gioia per il secondo posto alla Grande Boucle è giustificata, ma il rammarico di non poter indossare la maglia gialla sul podio di Parigi e di non aver ottenuto neppure un successo parziale resta forte.
L'impressione è che lo scalatore del Team Movistar sia rimasto quasi intimorito dall'azione mostruosa di Froome a La Pierre-Saint Martin, autogiudicandosi inferiore al britannico.
Quando ha scoperto di avere una marcia in più era ormai troppo tardi: la mancata convinzione dimostrata nei suoi attacchi a Plateau de Beille e a Pra Loup sono la perfetta espressione di un'incertezza ingiustificata ed ingiustificabile.
Questo atteggiamento remissivo lo ha portato ad evitare qualsiasi tipo di attacco da lontano: quando oggi Quintana è scattato insieme a Valverde sulla Croix de Fer ci è sembrato di non credere ai nostri occhi per quanto era stato ostentato l'attendismo della Movistar nelle tappe precedenti.
Ma il maggior rimpianto per il colombiano è rappresentato da un percorso che sembrava disegnato a pennello per le sue caratteristiche. Un Tour de France senza prove contro il tempo individuali, se escludiamo la prima crono di soli 14 km, era l'occasione della vita per battere Froome (e non è detto che lo rivedremo in futuro!).
Mai come in questa edizione i corridori hanno avuto l'opportunità di cimentarsi con la strada che si inerpica sotto le ruote. Quasi ogni frazione ha presentato un'asperità, un trabocchetto o un'ascesa dalla lunghezza o dalla pendenza impegnativa.
Un Quintana così forte in salita avrebbe potuto giocare meglio le proprie carte. Pensiamo alla tappa di ieri, quando sulla Croix de Fer la Movistar ha pensato più a difendere il podio di Valverde che ad attaccare il primato di Froome.
Errori tattici che alla fine si pagano, ma che possono rappresentare una lezione importante per il futuro di un giovane dal talento cristallino.