3664 chilometri dallo Yorkshire a Parigi. 21 giorni di corsa, due di riposo. Il Mondo si ferma, dal Brasile alla Francia. Dal podio iridato al Tour de France. Il ciclismo si riscopre nel suo habitat preferito, lungo le strade di Francia. Alpi, Pirenei, addirittura pavé. Non manca nulla alla corsa più bella. L'attesa supera il confine del desiderio. Il circoletto rosso sul calendario è apposto da tempo. Tutti aspettano la Grand Boucle, perché mai come quest'anno la parola "Grande" si confà al Tour. I migliori si sono dati appuntamento qui, non manca nessuno. Lo scontro frontale fra i signori del ciclismo comincia sabato. 190,5 km da Leeds ad Harrogate.

Froome, Contador, Nibali. In rigoroso ordine. Partono alla pari Chris Froome, il keniano bianco, il campione, e Alberto Contador, il re decaduto che grida vendetta. Un passo indietro Vincenzo Nibali. Diversi, per caratteristiche incarnano la modernità, con sprazzi d'antico. Froome è il prototipo del corridore moderno, studiato in laboratorio, creato ad arte per raggiungere il massimo col materiale umano a disposizione. Ha dominato "meccanicamente" il Tour 2013. Ogni sua mossa è studiata a tavolino. Ogni suo dato in laboratorio. Quella frequenza di pedalata che quasi spaventa è il frutto di un allenamento mirato, specifico. Il Ventoux lo scorso anno ha lasciato tutti a bocca aperta, quasi impauriti per quel mulinare ossessivo. Parte un centimetro avanti ad Alberto, perché al Delfinato, prima della caduta, ha vinto ai punti il primo vero duello in salita. Ha staccato tutti, si è rivisto lì Chris Froome. Dopo un inizio di stagione altalenante, con poche corse e giorni interminabili lontano dalle telecamere, è riapparso cannibale. Contador ha risposto però, a differenza del passato. Si è incollato alla ruota di Froome e lo ha accompagnato al traguardo. L'orgoglio ha spinto Alberto ad affiancare Chris, le gambe han detto no. Il Team Sky punta al terzo successo. Dopo Wiggins, l'obiettivo è doppiare i trionfi di Froome. I gregari sono di lusso. Su tutti il recuperato Henao e Richie Porte. L'australiano si è contraddistinto per i numerosi ritiri di inizio anno, ma sembra aver trovato finalmente una condizione accettabile.

Alberto Contador è rinato. Il 2013 è stato l'anno zero del campione spagnolo. La squalifica per doping ha segnato una frattura tra il vecchio e il nuovo Contador. Prima dello stop Alberto non aveva mai reso le armi in una corsa a tappe. Al rientro ha vinto, d'astuzia, la Vuelta, ma lì l'orologio si è inceppato. L'anno scorso ha affrontato il Tour da favorito, ma è crollato. Ha lottato, perché per carattere è il numero uno. Con un ventaglio ha riaperto la corsa, ma la montagna ha respinto le fragili ambizioni del Pistolero. Si è sciolto lungo i tornanti francesi come mai in passato. In inverno ha chiuso con tutti, ha pensato solo alla rivincita. Si è presentato al via tirato a lucido e ha vinto, quasi sempre. Il Giro dei Paesi Baschi ha segnato il ritorno, vero, di Alberto. Al Catalogna ha perso da Purito, ma ha dimostrato gamba. Al recente Delfinato ha chiuso secondo alle spalle di Talansky, ma ha dato spettacolo. Ha staccato Froome, limitato da guai fisici, ha acceso la corsa, con un'azione solitaria nella tappa conclusiva che ha fatto stropicciare gli occhi agli amanti del ciclismo d'annata, quello fatto di attacchi senza senso, frutto di coraggio e immaginazione. Ecco Contador è il passato per certi versi, il gusto del rischio, del colpo di teatro. Forte ovunque Alberto, in discesa, in salita, a crono. Conosce il Tour, non a caso ha studiato ogni tappa attentamente. Perché in ogni tappa è nascosto il Tour. Ad Arenberg come sul Tourmalet. La sorte ha tolto a Contador il miglior gregario in assoluto, il ceco Roman Kreuziger. Al suo posto Majka, fiaccato dal Giro. Possibili alleanze in corsa per attaccare Froome e sopperire all'assenza di Kreuziger. Contador sa che il Team Sky è fortissimo, ma ha un evidente punto debole. Se la corsa diventa "pazza", poco contrallabile, se la corsa esce dallo spartito classico, i neri improvvisamente perdono il controllo. Annusa l'aria Alberto, sente il profumo, dolce, della rivincita. Non è superiore a Froome ne in salita ne a crono, ma sa interpretare meglio di Froome una corsa lunga e estenuante. Il sacro fuoco della rivincita alimenta lo spagnolo e la testa conta, in un Tour quasi quanto le gambe.

Vincenzo Nibali è chiamato alla consacrazione. Ha dimostrato nello scorso Giro d'Italia di essere senza dubbio il numero uno nel bel paese, ora lancia l'attacco alla corsa più difficile. Il Tour è un passo oltre al Giro, perché ogni tappa vive di tensioni, momenti, un vortice emotivo che distrugge mentalmente gli atleti. Non c'è respiro al Tour, tutto scorre, inarrestabile. La stagione di Vincenzo è stata infettata da scorie forse ingigantite dalla stampa. La polemica con l'Astana per lo scarso impegno ha largamente occupato giornali e media. Nibali è rimasto in disparte e ha risposto sul campo, sulla strada. Al Delfinato segnali incoraggianti. Non ha tenuto il passo di Froome e Contador, ma era lì, poco più indietro. Ha gestito la sua condizione, senza esagerare, senza incorrere in pericolosi fuorigiri. Al Tricolore, con l'obbligo della vittoria come spada di Damocle, non ha tradito. Il luogotenente Scarponi ha sorretto Nibali, il resto lo ha fatto lo Squalo. In Francia dovrà inventarsi qualcosa, magari in discesa, terreno di caccia prediletto.

C'è anche Alejandro. Il treno della gloria spesso suona al fianco del ragazzo spagnolo. Da giovane era soprannominato El Imbatido, per quella straordinaria capacità di vincere, sempre. Col passare degli anni, Valverde ha perso il colpo di pedale, quella magia. Ora è sempre un passo indietro. L'istinto del killer non alberga più nel leader della Movistar. Quest'anno ha intrecciato le spade poche volte con i più forti. Ha lottato, non ha mai vinto. Il suo miglior piazzamento al Tour resta il quinto posto del 2007, perché in tre settimane capita sempre il buco nero in cui alzare bandiera bianca. Quest'anno ai nastri di partenza non c'è Nairo Quintana, vestitosi di rosa lungo le strade del Giro, e Valverde è capitano unico e indiscusso. Le parole sono di uno che crede nell'impresa, nella distruzione dell'ordine costituito. I libri del Tour raccontano altro, ecco perché Alejandro parte in quarta posizione.