Il Mont Ventoux si staglia minaccioso nel cuore della Provenza e guarda la regione della lavanda dall'alto dei suoi quasi 2000 metri di altitudine. Per qualsiasi ciclista, è un nome che incute timore solo a pronunciarlo: è una salita verso l'inferno lunga venti chilometri, gli ultimi tre dei quali da percorrere in un paesaggio che sembra la luna, senza un albero a farti ombra, ma un'interminabile distesa di sabbia e pietre. In quel deserto ci aveva rimesso la vita Tommy Simpson (1967), vittima del caldo atroce e del letale mix di eccitanti che scorreva nelle sue vene; su quella striscia d'asfalto Marco Pantani aveva scritto una delle sue ultime pagine felici, in un arrivo a braccia levate dopo il quale esplose feroce la rivalità con Armstrong, tiranno dopato del Tour, che derubricò la vittoria del Pirata a una sua gentile concessione; su quella vetta era risorto come una fenice Richard Virenque (2002), l'eroe di Francia caduto nella polvere quattro anni prima per via dell'affaire Festina.
Devastante - E ieri, sempre lungo quei venti chilomteri - dove i corridori, piegati sui manubri per mandare avanti a colpi di pedale quegli arnesi a due ruote chiamate biciclette e con i volti trasmutati in un campionario di smorfie che andavano dalla sofferenza alla vacuità avanzavano fra due ali di folla che facevano un baccano del diavolo - il popolo del ciclismo ha assistito in Mondovisione all'azione di Chris Froome: un'azione devastante, quasi sovrannaturale, pensando che il keniano d'Albione, così come tutti i suoi compagni di avventura, stava pedalando da oltre duecentrotrenta chilometri. E che sotto le ruote c'erano le pendenze del Mont Ventoux, non quelle di un cavalcavia. E così, mentre gli uomini di classifica arrancavano e pian piano si staccavano sotto le devastanti rasoiate di Richie Porte - ieri finalmente in giornata si dopo le legnate delle tappe precedenti -, provava a resistere il solo Contador: lo spagnolo però non può nulla quando Chris ringrazia con un amichevole pat pat il compagno di squadra e inforca il motorino, seminandolo nel breve volgre di una curva come se lo spagnolo fosse un cicloamatore qualsiasi. Rimane là davanti il solo Nairo Quintana, colombiano di belle speranze e ormai unica carta per la Movistar, il cui capitano Valverde si è perso nei ventagli della frazione numero tredici: ma anche per il povero Nairo il destino è segnato, e una volta tagliato il traguardo crollerà esanime e con il naso sanguinante, il prezzo pagato per aver provato a resistere alla furia della Maglia Gialla. Che sotto lo striscione del traguardo porta a casa il game, il set e molto probabilmente il match con tutta la baracca e il montepremi. E' l'azione che potrebbe porre la parola fine al Tour de France 2013: perchè ormai il vantaggio che il britannico del Team Sky ha accumulato su Mollema e Contador è abissale, perchè sin qui Froome è stato fortissimo a cronometro e imbattibile in salita, dove ha fatto il vuoto tanto ad Ax-3 Domain quanto sul Ventoux, mentre nel tappone di Bagneres De Bigorre ha mantenuto i nervi saldi e controllato la corsa malgrado si sia trovato senza compagni fin dai primi chilometri. E ora chi lo fermerà?
Ci aveva provato quella vecchia Volpe di Alberto Contador a far saltare il banco nella tappa numero tredici, quella dei ventagli, che ha fatto precipitare negli abissi della classifica lo spagnolo Valverde: un'azione magnificamente orchestrata dalla Saxo aveva messo fuori causa Froome, che sul traguardo ha dovuto cedere oltre un minuto. Ma ieri la Maglia Gialla si è ripresa tutto con gli interessi e ha ricacciato indetro lo spagnolo, il quale ha alzato bandiera bianca e ha sportivamente ammesso che contro questo Froome c'è poco da fare.
Agli avversari non resta altro che aggrapparsi all'adagio trapattoniano del non dire gatto se non lo hai nel sacco o a quello meno metaforico ma sempre efficace del finchè c'è vita (in questo caso corsa) c'è speranza.
Reazioni - "Accusarmi di essere un bugiardo e un imbroglione nel giorno della mia vittoria più bella, non lo trovo carino". Sono queste le parole di Froome in conferenza stampa in risposta a chi, in seguito alla sua azione di ieri, aveva cominciato a insinuare il sospetto di un qualcosa che non andasse. Ed effettivamente, a vedere un allungo di quel tipo dopo oltre duecento chilometri, con un caldo bestiale e con gli avversari (e si parla di un tre volte vincitore del Tour) fanno la figura dei pivellini alle prime sgambate, qualche domanda sorge spontanea: ma sarà pulito o l'ennesimo eroe destinato a cadere ancora una volta nella polvere del doping? E' purtroppo ormai diventata impresa ardua, tanto per gli addetti ai lavori quanto per gli appassionati, lasciarsi andare ancora agli entusiasmi di fronte ad azioni di questo tipo: sono ancora troppo recenti e dolorose le scottature prese con Armstrong, con Landis, e con tanti altri corridori che avevano acceso l'entusiasmo popolare, il quale era poi destinato regoalrmente ad infrangersi contro la dura realtà di una positività a qualche nuova frontiera del proibito. Ma se il ciclismo comincia a non essere più il veicolo dei sogni di tantissimi appassionati che ogni anno affollano le strade per poter anche solo respirare l'atmosfera unica del passaggio di una corsa ciclistica; se a ogni impresa aleggia sempre la solita fastidiosa domanda, il tarlo del dubbio fra un'impresa epica e una farsa indegna, forse è il caso di fermarsi e cominciare a rifelttere sulla deriva che questo sport meraviglioso (e non solo esso, come dimostra la bufera che sta investendo l'atletica leggera) sta prendendo.
Froome non si cura di loro (delle voci che lo vogliono dopato) ma guarda e passa, come un rullo compressore che distrugge tutto ciò che prova a porsi come bastone fra le sue ruote a raggi; il popolo del ciclismo invece prega le divinità dei pedali che questo britannico di origine keniana non sia l'ennesima incarnazione di quel daivolo chiamato doping.
Nel frattempo, resta però sempre vivo il quesito: chi fermerà Chris Froome?