Novak Djokovic torna re di Wimbledon. A distanza di tre anni il tennista serbo si laurea nuovamente campione di Londra battendo in finale il sudafricano Kevin Anderson, visibilmente provato dopo le fatiche dei turni precedenti contro Federer prima ed Inser successivamente. Non basta a quest'ultimo la reazione, vana, del terzo set. La scena del Centrale londinese se la prende fin dal principio Nole, che fin dall'ingresso in campo appare sereno, sorridente e sicuro di sé stesso come nei giorni migliori, si gode l'ovazione della platea, il sole e l'atmosfera prima di tramortire mentalmente, tecnicamente e tatticamente la resistenza flebile del rivale odierno. L'edizione 2018 dei Championship sancisce il ritorno ai livelli che gli competono del fenomeno balcanico.
Kevin Anderson approccia la sua prima finale a Londra al servizio, senza rompere il ghiaccio, con la sua arma migliore. Situazione tutt'altro che facile da fronteggiare che il sudafricano patisce immediatamente, perché fatta eccezione per una buona discesa a rete per il 30-15 la scena è tutta di Nole in risposta: fermo, deciso, aggressivo, profondo, implacabile; doppio fallo dell'esordiente, break in avvio e set in discesa. Djokovic invece non batte ciglio, serve con precisione chirurgica senza strafare, accarezza la palla e conquista campo, gestisce battiti e ritmi di gara, conservando vantaggio ed energie mentali (31). La pressione del serbo si fa sentire, Anderson vive in costante apnea i turni al servizio, sbava di dritto e a rete: secondo break servito e set agli archivi senza ulteriori sussulti.
La lentezza di piedi e di testa, oltre ai problemi fisici al braccio, fanno il resto in avvio di secondo set, quando così come agli albori della partita Anderson cede il servizio per la terza volta in giornata. Il sudafricano non prende rischi da fondo, paga l'aggressività di Nole in ribattuta, il quale lo lavora ai fianchi sfinendolo: break a 15 e vantaggio serbo. Lo spartito non cambia rispetto a quanto ammirato nel primo set, anche se arriva una timida e fugace reazione da parte dell'africano, di lotta e di nervi, più che di governo e di testa. Nonostante una profondità maggiore di palla da fondo campo Anderson non scalfisce le certezze dell'ex numero uno del Mondo anzi, strappa di dritto e stenta ad entrare in ritmo: altri due gratuiti, sempre sul rovescio di Nole, ed altro break. Doppio 62.
Rispetto ai primi due parziali il terzo set inizia con il sudafricano che tiene il servizio nel primo gioco. Qualche prima in più in campo, con Nole che risponde con meno profondità ed efficacia, oltre a qualche gratuito di troppo. Anderson quantomeno ritrova ritmo e qualche angolo da fondo campo, lasciando a Djokovic molte meno possibilità di entrare in risposta. Di contro il serbo tira il fiato, fisiologicamente, dopo i primi due bottini portati a casa, limitandosi a condurre partita pari senza soffrire al in battuta (33). L'africano sembra scrollarsi dalle spalle ansie e pressioni, sale di colpi e, nell'ottavo gioco, si conquista palla break, prontamente salvata dal serbo grazie al servizio ed al dritto (44). Anderson si conferma però in palla e, dopo aver confermato il vantaggio al servizio, prova ad approfittare della sindrome del braccino che attanaglia Nole negli ultimi tre game del set: cinque palle set non sono sufficienti al sudafricano, con il serbo che si salva grazie al servizio ritrovato nei momenti decisivi.
L'epilogo al tie-break. Anderson va avanti col dritto di controbalzo, Novak risponde di rovescio prima di portarsi avanti nel punteggio per la prima volta nel set. Il numero otto del tabellone paga il contraccolpo psicologico, Djokovic passa dopo un attacco timoroso. Lo squalo sente l'odore del sangue, si rasserena dopo i momenti di paura e scioglie ulteriormente il braccio. La prima del rivale non entra; sulla seconda, di rovescio, passa ancora, archiviando di fatto il quarto titolo di Wimbledon della sua carriera. Il servizio fa il resto, prima dell'apoteosi finale.
N.Djokovic b. K.Anderson 3-0 (62, 62, 76 (3))