L'urlo che squarta il cielo plumbeo della città eterna, sembra invincibile come ai bei tempi; gli occhi sbarrati, insipidi, quasi impauriti di un Thiem spiazzato da se stesso, dall'avversario, dal punteggio. Il tabellone recita 61 60, Djokovic si veste del calore del pubblico di Roma, esorcizza la paura di non essere all'altezza di ciò che aveva creato, costruito negli anni, e stacca il pass per la finale. Perderà dal vibrante e rampante Zverev, che approfitterà di un Nole diverso, ma è Roma il suo teatro dei sogni, il luogo che ravviva il fuoco dilavato dalle piogge acide che scalfiscono il lato mentale e fisico. A distanza di un anno, la sbalorditiva recita romana messa in atto dal natio di Belgrado resta il picco più alto da un anno a questa parte.
Il successo nell'onesto 250 di Eastbourne, non paragonabile, poi il buio, il dolore lancinante, le voci che si sovrappongono ed una sola certezza: stop e riposo, Wimbledon sancisce la chiusura del 2017, la recita termina sotto i colpi di Berdych e gli occhi di Agassi, il gomito fa troppo male. Djokovic, contrario all'operazione, lotta in maniera serrata contro un delicato infortunio; si aggrappa alla speranza di non operarsi, ma il rientro in Australia ad inizio 2018 lo spaventa. In ritardo di condizione, presta il fianco all'operazione a Febbraio. Rientro claudicante ampiamente prevedibile, alcuni sprazzi che smorzano l'effetto placebo. Un crescendo stile Rossini, l'Overture alla Guglielmo Tell si concretizza ancora nello stivale, ancora tra le venature storiche del Pietrangeli ed un Centrale che dorme sul Tevere, attento, però, ai campioni che passano.
A tratti, sul Foro Italico si è abbattuto il vecchio Nole, il tennista elastico e solido, capace di anestetizzare ogni attacco e di colpire veementemente sotto traccia, come se avesse una baionetta a posto della racchetta. Saccheggiati Dolgopolov, Basilashvili, Ramos e Nishikori, prima del 51esimo confronto con Nadal. Conosce bene le coordinate del Re di questa superficie, conosce bene le sue, uno dei pochi a tenergli testa durante le epiche sfide sul tappeto rosso. Sotto 52 nel primo, evita una Waterloo e trasporta con tenacia, intelligenza tattica, e talento il set al tie-break. Lo perde per un'inerzia, ma il suo grido è forte. Le bandiere sventolano, i tifosi e gli appassionati sono di nuovo chini sulla balaustra ad attendere una delle sue solite scivolate laterali. Perde il secondo 63, saluta Roma con un prorompente affetto immutato negli anni, e stabilizza il suo pensiero oltre le alpi; c'è il Roland Garros.
E chissà se Djokovic, dopo aver liquidato i due Dottor S Agassi e Stepanek, avrà preso di nuovo in mano la sua carriera tornando al caro, vecchio Vajda. Il tempo ci dirà tutto, noi attendiamo con gli occhi vispi e con tanta voglia di applaudire le sue gesta. Idemo!