Quando, nel primo pomeriggio di domenica 7 giugno 2015, Novak Djokovic scende in campo sul Philippe Chatrier per disputare la finalissima del Roland Garros contro Stan Wawrinka, in pochi immaginano che lo svizzero numero due possa ostacolare la realizzazione del grande sogno del serbo: vincere per la prima volta in carriera lo Slam parigino su terra battuta per poi provare a dare l'assalto a Wimbledon e agli Us Open per completare una stagione da record.
Il difficile per Nole sembra essere alle spalle. Reduce dalle vittorie nei Masters 1000 di Montecarlo e Roma (saltato per scelta quello di Madrid), il fenomeno di Belgrado si è sbarazzato negli Internazionali di Francia di gente come Rafa Nadal e Andy Murray, battuti nei turni precedenti in quarti e in semifinale. Il successo contro il maiorchino aveva eliminato il pretendente più pericoloso nella corsa alla Coppa dei Moschettieri, quel Nadal da un decennio assoluto padrone del tennis su terra rossa. La successiva sfida contro Andy Murray, risolta al quinto set contro uno scozzese per una volta indomito, aveva dato a tutto il mondo del tennis la sensazione che la grande occasione per Djokovic fosse finalmente giunta e da cogliere al volo, dopo le delusioni degli anni precedenti, tra cui l'incredibile match giocato da Roger Federer in semifinale nell'anno di grazia 2011 e la beffa dello smash sbagliato più famoso delle ultime stagioni, sempre contro Nadal. Dall'altra parte della rete c'è Stanislas Wawrinka, l'elvetico sdoganato dal trionfo di Melbourne del 2014, ma mai realmente considerato un membro - nemmeno provvisorio - dell'èlite dei Fab Four. Eppure Stan ha regolato in tre set il connazionale Federer in quarti, prima di spegnere, seppur a fatica, le velleità transalpine di Jo-Wilfried Tsonga. Non un avversario facile insomma, ma neanche uno di quelli che non ti augureresti di trovare mai di fronte nella finale dei sogni, o meglio nell'unica da vincere per completare il Career Grand Slam.
L'inizio sembra confermare le previsioni della vigilia, Djokovic si piazza con i piedi dentro al campo rosso e, sotto il primo sole estivo di Parigi, comincia a dettare a piacimento il ritmo dello scambio, azionando i suoi solidi colpi di rimbalzo e aggiudicandosi senza troppi patemi il primo set con il punteggio di 6-4. L'esito scontato si avvicina, ineluttabile come la profondità del gioco del serbo, tanto più che Wawrinka non è noto per rimonte con effetti speciali. Poco a poco però il match cambia, Stan comincia ad accelerare di rovescio - il suo marchio di fabbrica - e di diritto - colpo ballerino ma estremamente pericoloso nelle giornate di grazia - pescando angoli indigesti persino all'incredibile elasticità muscolare del serbo che, dal canto suo, prova a resistere a quella che appare una breve sfuriata, di quelle da contenere come un temporale estivo, in attesa che torni il sereno. Eppure Wawrinka non si ferma, è on fire (come direbbero dall'altra parte dell'oceano), diviene assolutamente ingiocabile e livella il match sull'1-1. Nel terzo parziale Nole perde per un attimo la calma, infastidito dalla potenza con controllo dei colpi del suo avversario, cede al nervosismo e spacca persino una racchetta, nonostante la finale sia ancora rimediabile. Ma il serbo sa bene che un Wawrinka così micidiale da fondo campo può scippargli il sogno di vincere per la prima volta il Roland Garros. Lo sguardo dello svizzero non tradisce emozioni nè distrazioni, esprime piuttosto quella sensazione di onnipotenza tennistica tante volte appartenuta al suo avversario, trovatosi sotto per due set a uno senza demeritare.
Djokovic, che ha costruito parte dei suoi trionfi grazie a maratone leggendarie con Nadal e Murray, ha ancora spazio e tempo per recuperare, e infatti si ritrova di puro orgoglio sul 3-0 nel quarto parziale, prima che il suo avversario riprenda da dove aveva lasciato per affossarlo a suon di vincenti che lasciano increduli spettatori e commentatori televisivi. Cinque games consecutivi portano l'elvetico a un passo dalla gloria, Nole resiste e annulla anche un match point, prima di arrendersi per 6-4 sotto lo sguardo attonito del Philippe Chatrier, non più abituato a grandi sorprese nelle finali dell'era Nadal. Eppure è tutto vero. Wawrinka ha vinto, giocando quella che poi definirà a ragione la "partita della vita", e Djokovic ha perso. Ha perso non solo una finale Slam (dell'unico Slam che gli mancava), ma anche l'occasione di vincere tutti e quattro i Major in una sola stagione (traguardo che si dimostrerà alla sua portata dopo i trionfi di Wimbledon e New York). Sul palco parigino Novak cede alle lacrime, lasciando trasparire il volto umano di un personaggio straordinario del tennis contemporaneo, congratulandosi con l'avversario e ricordando a se stesso e a chi lo ascolta che "nella vita ci sono cose più importanti di una partita di tennis", mentre Stan sembra non essersi ancora reso conto dell'impresa compiuta, soprattutto per il gioco espresso, e alza al cielo il trofeo del Roland Garros (consegnatogli niente meno che da Guga Kuerten) immortalato dai fotografi in quella che verrà ricordata come una delle più grandi sorprese dell'epoca dei Fab Four.