Raccontare Rafa Nadal. É un po' come raccontare una favola a lieto fine. Una vittoria dei buoni sentimenti. L'affermazione del carattere, il trionfo del lavoro, il potere della mente. Ogni volta ti sorprendi, guardando il mancino di Manacor, perché ogni volta sposta più in là la lancetta del limite. Novello Ulisse capace di superare a vele spiegate le colonne d'Ercole. Un fantasma portentoso che scherza con la realtà. Il 2013 di Rafa è più o meno questo. Un'altalena di emozioni, un inizio buio e tempestoso, seguito da un chiarore abbagliante, da un urlo capace di squarciare il cielo del tennis.
Rosol è un carneade, un uomo da una partita e via. Quella della vita la gioca sull'erba di Wimbledon, proprio contro Nadal. Lo batte e ne segna la cicatrice iniziale di un calvario lungo, difficile. Cede il ginocchio. Sentori del passato si manifestano senza appello. Rottura parziale del tendine rotuleo, con annessa infiammazione dei tessuti del ginocchio sinistro. In gergo medico “La sindrome di Hoffa”. Non rivede più il campo lo spagnolo, ma al campo pensa e nella testa cova e prepara la rivincita. L'inizio del 2013 non premia però il tennista iberico. Un virus intestinale lo taglia fuori da Abu Dhabi, soprattutto dal primo Slam dell'anno, gli Australian Open. Scende al n.5 del seeding, superato anche dal connazionale Ferrer.
IL RITORNO – Assaggia per la prima volta il campo in Cile. La vittoria arriva la settimana seguente a San Paolo, in finale contro Nalbandian, talento che ha appena lasciato il circuito, portando con sé rimpianti e domande per quel che non è stato. Poi Acapulco e soprattutto Indian Wells. Quello è il test che convince gli scettici. Il ginocchio risponde e a farne ne spese sono Federer, costretto a cedere ancora di fronte alla sua nemesi, e Del Potro nell'ultimo atto. Rafael dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, cosa può fare un campione disposto a ogni sacrificio. La natura non lo ha dotato dell'infinito genio federeriano, allora piano piano si è costruito la sua casa. É partito dal suo studio prediletto , la terra rossa, che infesta scarpe e calzini, che si alza indignata a ogni refolo di vento, e da lì ha limato il suo gioco, lo ha adattato a ogni superficie, dall'Australia all'erba, fino al cemento, luogo di stress e fatiche per chi soffre dei problemi di Nadal. Da grande è diventato grandissimo, eliminando i punti deboli. Al resto ci ha pensato la competitività di un ragazzo che ripugna la sconfitta. Belva in campo, educato fuori. Sempre pronto a riconoscere l'inarrivabile grandezza del maestro di Basilea.
LA STAGIONE IN ROSSO – Nadal e il suo habitat, con uno sgambetto iniziale. Djokovic si prende Montecarlo e lancia l'effimera speranza di una stagione di successi sul terreno del nemico. Vana gloria, perché da Barcellona si instaura la dittatura iberica. La finale con Almagro non può essere un problema. Madrid e Roma sorridono a Rafa. Gli avversari di turno provengono dalla ricca Svizzera, ma entrambi son poco più che valletti. Wawrinka nella capitale spagnola, uno dei peggiori Federer dell'anno in quella italiana. Il Foro assiste a un dominio assoluto, causato in parte dalle imperfette condizioni dell'elvetico. Si arriva all'appuntamento clou, il Roland Garros. Come spesso accade, Nadal qualcosa concede nella prima settimana. Con Brands, Klizan, Fognini, lascia qualche set, insinua qualche dubbio. L'avvento degli ottavi risolve l'enigma. Al salir degli avversari, sale il mancino terribile. Nishikori e Wawrinka spariscono al cospetto del Re in rosso, ma è la semifinale la partita più attesa. Nadal - Djokovic, il meglio, allo stato attuale del tennis. Ne esce una maratona e la maratona esalta Nadal. La battaglia campale, senza sosta, fino allo stremo delle forze è il suo pane. Un ribattitore sublime come Nole, un difensore incallito, una sorta di tappeto elastico capace di rispedire qualsiasi cosa, cede. 9-7 al quinto, tra l'apoteosi dei palati fini di Francia. La finale con Ferrer è solo una consecutio non richiesta e scontata. Il torneo era finito poco prima.
LA DELUSIONE – A tradire Nadal è ancora una volta l'erba di Wimbledon. Dopo Rosol, è Darcis a spegnere il sogno di Rafa di tornare a vincere nel tempio del tennis. 7-6 7-6 6-4, tre set per abbandonare un pubblico che ricorda lo spettacolo delle finali giocate qui, con Federer, e inetto assiste all'addio, prematuro.
CEMENTO DI GLORIA – Montreal e Cincinnati sono il preludio all'Us Open. In Canada, la vittima, in una sfida, come di consueto, all'ultimo punto è ancora Djokovic, battuto 7-6 al terzo, prima di sconfiggere il bombardiere Raonic in finale. É il gigante americano Isner a cadere invece in Ohio. A Flushing Meadows arriva il tredicesimo Slam. Stavolta nessun patema. Concede il primo break del torneo a Gasquet, in semifinale, prima di travolgere Nole in quattro set, 6-2 3-6 6-4 6-1.