Idea suggestiva, idea romantica, idea di un calcio antico. Inzaghi è vicino all’Atalanta, sembrerebbe: un ritorno dopo quindici anni. C’è chi storce il naso. Compirà 39 anni ad agosto, questo inverno ha subito un intervento al ginocchio. Ma il gol, forse, non ha età. Pierpaolo Marino ha affermato che “è difficile dire di no ad un giocatore di quel calibro”. Ed è lo stesso Inzaghi che preme per il rimpatrio a Bergamo, là dove esplose segnando 24 reti in 33 presenze, punendo ben 15 delle 17 avversarie del torneo (graziò appena Parma e Udinese): segnava di destro, sinistro, di testa, dal dischetto, infilava la sfera in porta persino con punizioni ad effetto, dal limite dell’area. Alcune frasi di Mondonico, suo allenatore in quella stagione 1996-1997, sono emblematiche. “Non è Inzaghi ad essere innamorato del gol, ma è il gol ad essere innamorato di Inzaghi”. Oppure, “E’ la palla che va da Inzaghi, non il contrario”.

L’Atalanta prende tempo: in rosa, oggi, possiede troppi attaccanti. Strutturalmente è apposto, come dice lo stesso Marino. Bisogna prima sfoltire, poi acquistare. Si temporeggia, insomma. Ma Inzaghi scalpita: si dice che abbia gentilmente rispedito al mittente le richieste di Siena e Bologna, nonché la proposta di allenare gli allievi del Milan, trasferire la sua enorme esperienza ai campioni del domani. Ma Inzaghi andrebbe a Bergamo anche con la consapevolezza di non giocare sempre, di fare la panchina al tanque Denis, intoccabile: vestirebbe comunque il nerazzurro per ritagliarsi qualche spazio, per smuovere le gerarchie di Colantuono, per entrare nell’ultimo quarto d’ora a scombussolare le retroguardie avversarie, come sa fare. Superpippo – così ribattezzato dai tifosi del Verona nel ’93 – si sente ancora fresco e giovane, come un tempo. Vuole chiudere il cerchio, tornare dove era partito. Rincasare dunque all’Atalanta, che lo ha lanciato e consacrato.

La società di Percassi non può sgradire il ritorno di Pippo alla Dea: è un’operazione che darebbe visibilità all’Atalanta, una manovra “d’immagine”. L’idea è  suggestiva e farebbe cadere i riflettori su Bergamo, dove l’eterno Inzaghi ancora suda, lotta, forse segna. Sempre lì, sul filo del fuorigioco, a fiutare il gol come un cane fiuta i tartufi. Sempre lì, ad esultare come se ogni gol fosse quello decisivo per una finale mondiale. Sempre lì, a sgomitare e farsi spazio, a guizzare tra le maglie avversarie con la voglia di un bambino. Perché, forse, il gol non ha età.