Nel viaggio verso lo Scudetto, ci sono giornate, giorni, partite, che valgono doppio, forse anche qualcosa in più. Il Napoli di Maurizio Sarri sembra aver compreso la lezione a fondo, negli anni passati, limando nel corso del tempo tutti i tratti di una personalità che oggi, dopo la vittoria di Bergamo sull'Atalanta, bestia nera sarriana, appare sempre più splendente e vincente. La maturità, quella definitiva, la si trova nei momenti più difficili, quelli che mettono a dura prova testa e corpo, volontà e sacrificio. Vittoria da grande, grandissima squadra quella della truppa del condottiero toscano; i protagonisti festeggiano, lui si limita ad uno sfogo, con urlo e pugnetto, sintomo di tensione, ma anche di estrema soddisfazione.
Il Napoli batte il demone a tinte nero ed azzurre, quello spauracchio messo lì, sul campo di battaglia, pronto a fare lo sgambetto ai partenopei. Ed in parte ci riesce, perché le paure della vigilia si concretizzano in un primo tempo di fatica, di resilienza, di abnegazione, mentale prima ancora che fisica. I figli di Partenope entrano in campo a testa alta e petto in fuori, ma ben presto vengono irretiti dalla furiosa pressione bergamasca, la quale nei primi quindici minuti iniziali contribuisce ad una sì sterile ma costante offensiva orobica. Il Napoli regge, resiste, alza progressivamente il baricentro, fiuta la possibilità di colpire, nonostante la freschezza atletica degli avversari non permetta ad Insigne e compagni di rendersi pericolosi dalle parti di Berisha.
La sensazione di difficoltà diventa lungimiranza e sagacia, maturità e gestione guardando al secondo tempo. Una ripresa a dir poco impeccabile per cinismo e solidità, oculatezza e soprattutto personalità nella gestione dei momenti della gara: il Napoli è diventato grande, forse grandissimo, lo si legge nelle pieghe della contesa, della battaglia, perché è lì che la vince. Gestisce i ritmi, fa correre a vuoto una Dea sempre più in ritardo nei contrasti e negli interventi, fumosa in fase di ripartenza: Gomez e Cornelius fanno il possibile, Ilicic perde campo e fiducia con il passare dei minuti, i due mediani l'ossigeno vitale per schermare le folate dei partenopei. La Dea si allunga, perde le distanze e le misure. E' proprio a centrocampo che il Napoli, imbrigliato nel primo tempo, la vince nel secondo: Jorginho sale in cattedra, ma soprattutto sono Callejon ed Insigne che danno manforte ad un sontuoso ed insostituibile Allan nella zona nevralgica del campo.
La stessa dalla quale Callejon scarta il cioccolatino che Mertens non può proprio sprecare. L'Atalanta si perde il caballero, il cui esterno destro è una delizia, per palati fini. Due rimbalzi, un terzo, destro secco sul primo palo. Il gol ha la sensazione di chi si libera di una scimmia dalla spalla, di un peso dal petto, di un macigno dalla testa. I fantasmi bergamaschi scompaiono al pari delle polemiche per un fuorigioco millimetrico, seppur esistente, che lascia il tempo che trova. Il Napoli da quel punto in poi dilaga, soffre soltanto in una sola occasione, quando fortunosamente la sfera carambola dalle parti di Cristante, il cui destro trova pronto e reattivo Reina. La Dea si dimostra svuotata di testa, prima ancora che di gambe, non trova la forza di reagire, di scuotersi. Merito anche del muro eretto da Albiol e Koulibaly davanti al portiere iberico.
Tre punti che probabilmente, in ottica campionato a 360 gradi, ne valgono sei. Il peso specifico di una vittoria, la decima stagionale in trasferta, all'Atleti Azzurri d'Italia e con la porta ancora imbattuta, è l'ennesimo segnale che il Napoli c'è e lotterà fino al termine di questa stagione e danno un senso di definitiva compiutezza. Ventuno fatiche alle spalle, diciassette che attendono gli azzurri nella volata - oramai sempre più a due - verso lo Scudetto.