Un Toro matato. A terra, scarico, privo di grinta ed entusiasmo. Sembra un ossimoro, ma il Torino di Sinisa Mihajlovic ha smarrito la sua identità ed ora si trova a fronteggiare tanti interrogativi.

L’inizio di campionato è stato più che positivo: nonostante gli addii di pezzi pregiati come Benassi e Zappacosta, i piemontesi hanno iniziato la stagione sulla cresta dell’onda, raccogliendo risultati soprattutto in trasferta (1-1 a Bologna, 0-1 a Benevento e 2-3 ad Udine contenendo la rimonta dei padroni di casa). Non sempre i punti sono arrivati dal bel gioco, anzi, ma il Toro si è dimostrata squadra vera e tosta anche e soprattutto quando le cose non girano. Dunque, arrivati al derby di quasi dieci giorni fa, tutti si sarebbero attesi dai granata una prova di tenacia, di grinta, per impensierire i cugini della Juventus che sicuramente possono contare su una qualità di gioco superiore. Invece la prestazione dei ragazzi di Mihajlovic è durata praticamente 24 minuti: tanto è bastato, dopo una prima fase equilibrata, a Dybala per portare in vantaggio i suoi, ma soprattutto a Daniele Baselli per farsi ammonire due volte e lasciare in dieci il Torino. Da lì, l’Allianz Stadium ha fatto da cornice ad una vittoria dilagante, con Pjanic, Alex Sandro ed ancora Dybala in pieno recupero ad allungare il gap fino al 4-0 finale.

Tanti, soprattutto i tifosi, hanno accusato i granata di aver ammainato la bandiera troppo presto, di aver smesso di giocare e di essersi lasciati andare in balia dell’avversario. Certo, tener testa alla Juventus è difficile già partendo 0-0 e con gli uomini in parità, figuriamoci in certe condizioni. Però, facendo eco alla voce della tifoseria, ci sono modi e modi di perdere. Da sempre, il Torino ha identificato il suo credo con quello di una squadra gloriosa, che mette l’anima in campo accanto alla tecnica, o anche a sopperire quando quest’ultima viene a mancare. Invece, contro la Juventus, Mihajlovic ha schierato quattro punte ed una formazione che ha cercato più di attaccare e di dare spettacolo che puntare alla sostanza.

Ieri, una settimana dopo la cocente sconfitta nella stracittadina, ci si aspettava una reazione d’orgoglio contro il modesto Hellas Verona, alle prese con una stagione a dir poco complessa, ed il primo tempo all’Olimpico Grande Torino aveva posto le basi per una buona vittoria: attacco rapido e controllo del gioco, soprattutto dopo che Iago Falque era riuscito a sbloccare la gara alla mezz’ora. Niang, in azione personale, è sembrato mettere la ciliegina sulla torta al 44’, beffando sul primo palo Nicolas, ma la lunga domenica di Torino ha fatto uscire allo scoperto gli scheletri nell’armadio. Al rientro dagli spogliatoi, infatti, i granata sono stati stranamente remissivi, lasciando sempre più campo, man mano che i minuti scorrevano, ad un Hellas Verona sostanzialmente già sconfitto. Gli scaligeri hanno preso ad attaccare con costanza, riguadagnando fiducia, e con l’ingresso di Pazzini sono riusciti nell’impresa: prima Kean a deviare in rete il tiro di Cerci, poi lo stesso Pazzini a trasformare il rigore decisivo in pieno recupero. Un pareggio che sa di beffa per i padroni di casa, che sono rimasti in dieci all’ottantesimo (ancora 2-0) per l’infortunio di Belotti, uscito in barella quando i cambi erano già finiti. Eppure, imputare le colpe di una debàcle così evidente solo a questo episodio sarebbe troppo facile, oltre che ipocrita.

Per Sinisa Mihajovic, dunque, la sosta per le nazionali servirà da pausa di riflessione: in due occasioni consecutive il suo Toro ha sbagliato l’interpretazione della gara. Contro la Juventus, ritenendosi capace di giocarsela a viso aperto contro i vincitori degli ultimi sei scudetti, e contro il Verona, al contrario, avendo quasi paura di trionfare una volta avanti 2-0, rinchiudendosi in una sorta di catenaccio difensivo, con il possesso palla sterile che non è e non sarà mai nelle corde di questa squadra. Sicuramente i ricordi della sconfitta contro i cugini avranno influito sulla partita successiva, ma fatto sta che una compagine con le ambizioni – alte – di quella di Cairo non può regalare punti in questo modo.

Gli errori e le responsabilità sono chiari, ed il malumore attorno ai granata è tanto, ma l’unica cosa da evitare assolutamente è farsi prendere dallo sconforto. Il Toro rimane sesto a dodici punti, gli stessi del Milan per intenderci, e dopo 7 giornate vede il quarto posto a sole quattro lunghezze di distanza. Insomma, nulla è ancora perduto e la squadra ha mostrato grandi margini di crescita tanto tecnica quanto mentale. Margini che però andranno tramutati in realtà, con lavoro e sacrificio, per evitare di dover affrontare l’ennesima annata di transizione.