La finale di Coppa Italia, che si giocherà questa sera alle 20:45, è probabilmente la più interessante degli ultimi 5 anni. È l’esatto remake di quella dell’edizione 2015, ma le due squadre da allora sono decisamente cambiate, maturate, grazie ad un’evoluzione positiva che riguarda entrambe. La Juventus ha acquisito una maturità da squadra superiore, che le permetterà anche quest’anno di vincere (assai probabilmente) il campionato di Serie A, e le ha già consentito di arrivare in finale di Champions League; la Lazio ha trovato innesti più che interessanti, assemblati come meglio non si potrebbe da un allenatore novizio come Simone Inzaghi, reale sorpresa e dolce scoperta di questa stagione per quanto riguarda la sezione tecnica.
Simone, alla sua prima volta in Serie A, sta guidando la sua Lazio verso il quarto posto (oramai quasi certo) e ha già raggiunto il prestigioso pass per la finale di Coppa Italia, rivitalizzando giocatori che sembravano fantasmi come Ciro Immobile, Milinković-Savić, Felipe Anderson, Hoedt, e Keita Baldè. Un leader carismatico ma allo stesso tempo silenzioso, che ha sempre viaggiato a fari spenti e con pregevole umiltà, e che ha conquistato il gruppo con le sue straordinarie doti di intelligenza e conoscenza del gioco. Ha impresso una filosofia di calcio semplice, molto chiara, ed estremamente moderna: i meccanismi della sua Lazio si basano su un elevato coefficiente di fluidità, un’estenuante ricerca di linee di passaggio in zona di sviluppo della manovra (da parte dei giocatori senza palla), e su un’estrema duttilità implicita al suo 11.
Se dico fluidità, penso alla rotazione del centrocampo a 3 in fase di possesso, con Milinković-Savić che spesso si alza quasi ad occupare un ruolo da seconda punta in appoggio ad Immobile o ad un accorrente esterno. Se dico duttilità mi viene in mente la notevole predisposizione di alcuni uomini al ricoprire diversi ruoli all’interno di moduli differenti, a seconda delle richieste dell’allenatore: spesso Inzaghi sceglie una difesa a 4 contro squadre che giocano con punta unica, mentre preferisce un blocco di 3 centrali dal momento in cui l’avversario propone il doppio centravanti. Radu e Basta sono protagonisti come esterni della difesa a 4 laziale, ma hanno spesso saputo vestirsi efficacemente come terzo difensore di una linea a 3. Oltre a queste doti di squadra, Inzaghi può contare su spiccate individualità che valorizzano specialmente una squadra così affiatata. L’esempio di Felipe Anderson come esterno “a tutta fascia”, l’esuberanza fisica abbinata alla levigata tecnica base di Milinković-Savić, l’accelerazione palla al piede (e non) di Immobile e Keita.
In particolare, resta da incorniciare la stagione di Immobile e Keita Baldè: sono 40 i gol che la coppia italo-spagnola può contare in quest’annata (25 e 15), ma come possono segnare così tanto due giocatori che appena lo scorso anno hanno compiuto collettivamente 14 gol? La risposta non può essere data concisamente, ma di certo gran parte di questo successo va attribuito all’allenatore celeste. Immobile gioca come prima punta di movimento: sa galleggiare molto bene sulla linea del fuorigioco, e viene sfruttato per allungare le difese avversarie con tagli profondi, tempesticamente spesso perfetti, volti alla creazione di spazio centrale per gli esterni d’attacco o di centrocampo Keita e Felipe Anderson, che convergono lasciando corridoio libero per i terzini della propria fascia di appartenenza. Ciro non svolge solamente questo tipo di lavoro di “creatore spaziale”: a volte potremmo trovarlo sulla trequarti ricevere il pallone, mentre le 2 mezzali Milinković-Savić e Parolo si alzano sulla linea dei difensori; è un sistema per riempire globalmente l’area di rigore quando verrà effettuato il cross (giocata fondamentale negli schemi della Lazio), con appunto le 2 mezzali, l’esterno opposto alla zona del cross, e Immobile dentro a saltare.
Non sono solo le meccaniche di gioco a risultare efficaci per calciatori come Immobile, Keita, o lo stesso Felipe Anderson. Abbiamo spesso visto la Lazio di Inzaghi come squadra offensiva, che porta molti uomini sopra la linea del pallone, che ama puntare la sfida anche sui duelli individuali.. ma spesso non è così. La Lazio sa mutare forma in relazione all’avversario ed alle sue caratteristiche: contro avversari molto tecnici e fisici la scelta ricade spesso su un totale arretramento della squadra rispetto alla linea del pallone, con l’intenzione di rubar palla a manovra avversaria in corso, e di ripartire sfruttando le enormi doti di corsa dei suoi uomini offensivi (emblematico in questo senso il derby di Roma vinto per 3-1).
È per questo che la Juve dovrà stare più che attenta: gli avversari di stasera sono ben organizzati, e sanno essere pungenti anche mentre sembrano in sofferenza. Le assenze di Khedira e Pjanić sono mancanze importanti che modificano inevitabilmente le caratteristiche della nervatura mediale bianconera, con Marchisio che prenderà totalmente il violino in mano, affiancato plausibilmente dal compagno (decisamente più bodyguard) Rincón. Meno capacità di copertura spaziale dalla metà campo in avanti, ma con el generàl la Juve trova più intensità e reattività, soprattutto nella fase di pressione sul portatore di palla avversario. Non è da cestinare l’idea di una difesa a 3, per coprire la profondità nelle giocate in verticale provate sulle famose spizzate verticali di Milinković-Savić, sulle quali si getta come un felino Ciro Immobile; bisognerà vedere se la Lazio cercherà di intrappolare l’avversario, richiamandolo nella propria metà campo difensiva, oppure se vorrà giocare una partita a viso aperto, sfruttando le proprie armi ed esponendosi a rischi maggiori.