Vincere, o quantomeno non perdere, seppur giocando male. Uno dei principi cardine del diventare grande squadra, di testa ma non solo, è un assunto che ad oggi, ed oramai da tempo, non sembra appartenere al Napoli di Maurizio Sarri, visceralmente vincolato alle magnifiche espressioni del proprio calcio. Un bene, certamente, ma anche uno dei più grandi limiti, che come lo stesso tecnico toscano ammette a fine gara di Bergamo dopo la prima sconfitta stagionale, la squadra partenopea non riesce proprio a superare.
Certo, le attenuanti del primo stop stagionale sono tante, che parzialmente giustificano una prestazione blanda ed incolore, forse la peggiore da quando il "maestro di campagna" siede sulla panchina dei campani. Tanti i motivi di un Napoli apparso vuoto, spompato, senza energie nè fisiche tantomeno mentali. Un dazio da pagare, fisiologico, inevitabile. O forse si poteva evitare, in minima parte prevedere? L'insistenza con la quale gli azzurri si presentano sul terreno di gioco quasi costretti a fare la partita, dominandola, con possesso palla e gioco arioso, è così necessaria? Di certo le suddette cause sono alibi molto più determinanti rispetto a quelli molto più aleatori del terreno di gioco, o del vento che soffia in direzione avversa.
Per indole e struttura il Napoli è spesso - praticamente sempre - chiamato a fare questo tipo di gara, ma non vi riesce, come ieri, quando le gambe sono scariche e la testa resta offuscata dagli impegni precedenti. Motivo per il quale ci si potrebbe attendere, da Sarri come dagli stessi interpreti, una minore esuberanza e sfrontatezza nell'atteggiamento, che non significa obbligatoriamente negazione del proprio io, di sè stessi, ma semplicemente fare di necessità una virtù, in nome del risultato. Inserire due mezzali con le caratteristiche di Zielinski e Hamsik - preferendoli ad un interditore come Allan, che fuori casa fa sempre comodo avere - è sembrata, certo, a posteriori, una forzatura che non ha prodotto i dividendi sperati, con la marcatura a uomo dei bergamaschi che è riuscita a mettere la museruola alla fonte di gioco degli azzurri.
A quel punto, non era meglio avere maggiore copertura con Allan sulla destra, dove Gomez ha scorazzato in lungo ed in largo mettendo spesso in imbarazzo Hysaj, costantemente esposto all'uno contro uno del tarantolato argentino? Non si poteva presumere un tipo di condotta di gara del genere da parte dei padroni di casa, con Jorginho in difficoltà da qualche gara, in debito di ossigeno al cervello che non gli permette di essere pulito ed efficace nel suo fraseggio? Forse sì, forse no. Di certo i processi del giorno dopo vengono legittimati dal Dio risultato, che condiziona in parte la valutazione finale. Una cosa è palese, però, il Napoli visto a Bergamo non è stato quello solito, brillante e determinato in attacco, lucido nelle scelte sulla trequarti. La condanna, il paradosso, è quella del bel gioco: senza quest'ultimo, gli azzurri non producono, giocano sotto ritmo e, spesso, vengono ingabbiati.
Mal di Champions, soprattutto dopo una gara così intensa ed importante come quella contro il Benfica che ha evidentemente prosciugato le energie mentali della truppa napoletana. Nulla è perduto, ovviamente. Nessun disfattismo, soltanto una riflessione su ciò che potrebbe essere cambiato in vista delle prossime trasferte. Uno sguardo alla gara magari più accorto e meno esuberante, preferendo la solidità e la struttura al bel gioco ed allo spettacolo. Un tarlo, che navigherà nella mente di Sarri per quindici giorni, fino al ritorno in campo al San Paolo, quando al cospetto dei partenopei ci sarà la Roma di Spalletti.