Doveva essere la stagione del rodaggio, questa, per Lucas Boyè. Una stagione di adattamento al pallone italiano, utile per acquisire quelle competenze e conoscenze, per utilizzare termini di venturiana memoria, necessarie per integrarsi al meglio in una nuova nazione e in un nuovo tipo di calcio. Comprensibile, dato che l'argentino è nato nel 1996, ha compiuto da poco vent'anni ed è alla prima esperienza in Europa, la terza nel calcio dei grandi dopo quelle con River Plate e Newell's Old Boys.
Ma Lucas ha la fretta dei grandi, l'impazienza di chi vuole emergere e vuole farlo subito, di chi non si accontenta di stare nell'ombra, a guardare da lontano, facendo qualche piccola comparsa ogni tanto, quando capita, quando serve, quando qualcuno dei protagonisti ha bisogno di rifiatare. Lucas, il ruolo da primo attore, ha voluto prenderselo immediatamente.
Per fargli spazio è servito qualche infortunio dei protagonisti principali, questo è vero, ma Boyè ha saputo sfruttare alla grande ogni occasione concessagli: e adesso, con il primo mese di campionato mandato agli archivi, tra i protagonisti, a tutti gli effetti, c'è anche lui. E per capire le intenzioni di Boyè, bastava essere allo stadio Olimpico Grande Torino la sera del 13 agosto scorso. Si gioca Torino-Pro Vercelli, terzo turno di Coppa Italia, Lucas entra in campo al 73' e fa il suo esordio ufficiale in maglia granata. Ma lo abbiamo detto, a Lucas non piace accontentarsi di una semplice comparsata: e allora, undici minuti dopo il suo ingresso in campo, stop di spalle alla porta, defilato sulla destra, pochi metri fuori dall'area, tocco ad eludere l'intervento del difensore e ad orientarsi verso il bersaglio, bolide di sinistro, il piede debole, sul palo più lontano. Zaccagno non ci arriva, Boyè si presenta così ai suoi nuovi tifosi.
Poi è tempo di campionato, e come detto a Lucas serve un pizzico di fortuna per trovare spazio, perchè davanti a lui, nelle gerarchie di Mihajlovic, ci sono non solo Belotti, Ljajic e Iago Falque, ma anche Martinez e Maxi Lopez. Tutti, uno dopo l'altro, vengono fermati (o rallentati) da problemi fisici, e per Boyè si spalancano le porte del campo. E l'argentino si mostra ai tifosi granata e alla Serie A per quello che è: uno splendido ed esaltante diamante grezzo. Un po' seconda punta, un po' ala, un po' centravanti, Lucas ha doti straordinarie e particolari. Una tecnica spaventosa, quella di una seconda punta: sublime il modo in cui danza con il pallone incollato sotto la suola dello scarpino. Una facilità di saltare l'uomo che ha dell'impressionante, proprio come le ali del calcio che fu: finte, controfinte, il corpo che sembra andare in una direzione, salvo poi spostare il peso da quella opposta e fuggire via, sempre con la sfera tra i piedi. Una capacità non comune di difendere il pallone sfruttando il corpo, addomesticando anche i palloni più antipatici, e in questo Boyè ricorda i grandi centravanti: punta i piedi sul terreno di gioco, impossibile spostarlo (chiedere informazioni a Fazio e Manolas), mette giù il pallone e prepara la giocata, anche se marcato stretto, spinto o strattonato. Un diamante, Lucas Boyè, una gioia per gli occhi di ogni appassionato di calcio. Un diamante che però è ancora grezzo: spesso, troppo spesso, le meravigliose serpentine dell'argentino si concludono in una nuvola di fumo, per il momento in lui il gusto estetico per la giocata supera ancora la concretezza, quel cinismo indispensabile per fare il salto di qualità. Da sgrezzare c'è quel tocco in più che troppe volte rende vane le sue irresistibili scorribande. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare leggendo queste ultime righe, però Lucas Boyè non è un giocatore egoista. E' innamorato del pallone, questo sì, ma chi non lo sarebbe con i piedi che si ritrova? Ma egoista, per quello che è il vero significato del termine, questo no. Perchè in Lucas Boyè il Toro e Mihajlovic hanno trovato (anche) un giocatore straordinariamente predisposto al sacrificio, al lavoro per la squadra in fase di non possesso: dote e predilezione non scontata per un giocatore con la sua qualità tecnica. Non è un caso che contro la Roma, nel finale di gara, quando i giallorossi spingevano alla ricerca della rimonta, Mihajlovic abbia lasciato in campo lui, e non Iago che aveva messo a segno una doppietta: in quel momento servivano gambe, fiato e spirito di sacrificio, doti che si mescolano a meraviglia in Lucas Boyè, che insieme a Barreca (classe '95, solo un anno in più dell'argentino) ha annientato un giocatore come Florenzi, non proprio l'ultimo arrivato.
In campionato gli manca ancora il gol, ma i numeri, i dribbling e anche questa sua indomabile grinta lo hanno già reso un idolo della Maratona, curva che storicamente attribuisce un valore particolare alla doti temperamentali dei suoi pupilli. E ora, per Mihajlovic, si prospettano problemi di abbondanza: Belotti in forma devastante, Iago galvanizzato dalla doppietta alla sua ex Roma, Ljajic, fiore all'occhiello del mercato e acquisto più costoso della gestione Cairo, al rientro dopo l'infortunio. Come si fa, però, a lasciare in panchina un diamante come Boyè? Dolci problemi per Sinisa.