Suona alquanto stridente, nella serata di Kiev, la critica che Maurizio Sarri - nel giorno dell'esordio e del suo primo successo in Champions League - muove al suo Napoli. Parola di perfezionista. Parola di chi in cuor suo vorrebbe esplodere, ma si limita ad un pugnetto di giubilo a fine gara per marcare l'importantissima vittoria ottenuta dai suoi in terra d'Ucraina, consapevole che per crescere ancora c'è bisogno di ben altro. Avendo imparato a conoscerlo in questi anni, però, nulla sembra strano. Anzi, tutto sembra al proprio posto. Lo anticipano in molti, prevedendo la poca soddisfazione per una prestazione tutt'altro che brillante ed autoritaria della sua squadra. 

Aveva parlato di mentalità, alla vigilia del match, prevedendo le fisiologiche difficoltà che attanagliano il suo Napoli, vergine ed inesperto a serate di questo peso specifico. La palla, tra i piedi dei protagonisti azzurri, scotta e non poco. Inevitabile quanto marchiano e lapalissiano. Ne è conscio Sarri, che pone la questione al centro dell'attenzione nelle interviste post gara, a bocce ferme, quando sa che può affondare il colpo forte di un successo fondamentale per il prosieguo nel girone. "Si può e si deve sempre far meglio, guai ad accontentarsi" il suo monito, che fa eco nel ventre dell'Olympyskiy. La parte del duro, quello che non si accontenta mai, è propria del suo ruolo. Tutti lo sanno, calciatori inclusi. 

Gli stessi che però, ebbri di gioia per il successo ottenuto, sono consapevoli che quanto messo in mostra in Ucraina è una versione sbiadita e poco consona alle possibilità ed alle qualità tecniche dei partenopei. Mentalità, prima di ogni cosa. Consapevolezza di sè stessi e di ciò che accade attorno, immediatamente al fianco del primo punto cardine. Il Napoli studia da grande, in un processo che rapidamente sta portando gli azzurri laddove mai in un percorso prettamente formativo graduale, era stato. Non ci sono stelle talmente lucenti e brillanti in grado di far fare quel salto di qualità definitivo al gruppo, c'è un insieme che lavora all'unisono, seguendo i dettami del mentore, per crescere. Ancora ed ancora. 

Il primo passo, quello del riconoscere i propri limiti e le proprie tantissime potenzialità, sembra essere stato fatto. L'esperienza non è qualcosa di tangibile, ma che si avverte sul terreno di gioco quando nella gestione di un banale pallone la gamba trema inevitabilmente: da Albiol ad Hamsik, passando per Mertens e Jorginho. Da Bilbao a Kiev il passo sembra lunghissimo, ed invece è quanto mai breve. La differenza, però, risiede nella crescita di questi ultimi, che si rendono consapevoli della propria maturazione tecnica e prima ancora mentale, oltre che nel mero risultato finale. Qualche tempo fa, al primo soffio di vento ucraino, la casetta di legno partenopea sarebbe venuta probabilmente giù. Oggi, invece, è più solida che mai, costruita su prìncipi solidissimi, sebbene il gioco latiti nella notte del ritorno della musichetta che tremare le gambe fa. 

Il Napoli c'è, lo si vede nelle difficoltà di gestione e di sofferenza finale. Lo dimostra giorno dopo giorno, partita dopo partita. La crescita è costante. Sarri ne è consapevole. Il gruppo lo è altrettanto. Ora, però, l'importante è continuare a lavorare in questa direzione, con forza e rinnovata fiducia. Vincere aiuta a vincere, sempre. Anche e soprattutto quando la prestazione non lo giustificherebbe. Orme ingombranti solcano il prato di Kiev, quelle da grande squadra nella notte ucraina. Nelle piccole cose, la mentalità e la personalità, unite al cinismo, che il comandante aveva chiesto.