Coppola, Zavagno, Ogbonna, Glik, Darmian, Guberti, Iori, Vives, Stevanovic, Bianchi, Sgrigna. Con questo undici titolare, la sera del 13 agosto 2011, il Torino inaugurava l'era Ventura. L'avversario era il Lumezzane, piegato da una rete di Mirko Antenucci, subentrato a Sgrigna nella ripresa. Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, davvero tanta: dopo cinque anni, Giampiero Ventura ha salutato il Toro per cogliere l'occasione della vita, quella che lo porterà a diventare il Ct della nazionale azzurra.
Un giusto premio per il lavoro che il tecnico ligure ha fatto in questi anni colorati di granata. Già, perchè per la società di Urbano Cairo, Ventura è stato come un uragano: niente, dopo il suo passaggio, è più come prima. Lui stesso, non senza presunzione, lo ha più volte fatto notare: nel 2011 il Torino era una società reduce da anni di altalena tra serie A e serie B, una società che poteva vantare pochissimi giocatori di proprietà, con un vivaio da ricostruire. Cinque anni dopo, i granata si sono stabilizzati nella massima serie, hanno riassaggiato l'Europa, si sono tolti la soddisfazione di rivincere un derby dopo quasi vent'anni, di vincere uno scudetto Primavera e di fornire decine di giocatori alle nazionali di mezzo mondo.
In più, il Toro ha un bilancio tra i più sani d'Italia, merito anche delle straordinarie plusvalenze scaturite dagli affari Cerci, Immobile e Darmian, solo per citarne alcuni. In tutto questo, i meriti di Ventura sono evidenti: comprensibile ed inevitabile che il genovese non abbia esitato a rivendicarli, come detto in precedenza con un pizzico di presunzione, quando durante l'ultimo campionato l'andamento deludente della squadra ha dato il là alle critiche e ai malumori di parte della tifoseria e della carta stampata cittadina. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo.
I meriti di Ventura sono innegabili: se i granata, oggi, possono affrontare il campionato di serie A senza l'assillo di una salvezza da agguantare per i capelli, anzi strizzando addirittura l'occhio all'Europa, gran parte dei ringraziamenti vanno tributati al tecnico ligure. E' però altrettanto vero che il ciclo, come si dice in gergo, era chiaramente arrivato a conclusione. Soprattutto da un punto di vista tattico, il Toro di Ventura aveva evidenziato già nell'ultima annata sintomi di un processo evolutivo giunto al capolinea: il 3-5-2 frizzante ed efficace delle stagioni precedenti era diventato stantìo, prevedibile, a tratti completamente sterile. Ventura, testardo com'è nella sua natura, non ne ha voluto sapere di cambiare, ed ecco che il suo credere fermamente e ciecamente nelle proprio idee si è trasformato improvvisamente da virtù a limite. Giusto cambiare, quindi.
L'addio di Ventura, unito a quello di capitan Glik, rappresenta per il Torino un vero e proprio "taglio" di un immaginario cordone ombelicale. Della squadra partita nell'agosto 2011 dal match contro il Lumezzane "sopravvive" Vives, che però, con ogni probabilità, reciterà un ruolo secondario dopo anni in cabina di regia. L'avvento di Sinisa Mihajlovic non è quindi un semplice cambio della guida tecnica: per la squadra granata, l'arrivo del serbo rappresenta l'inizio di una nuova era, nella quale si cercherà di proseguire il lavoro iniziato da Ventura, senza però rimanerne completamente ancorati e condizionati. Sì perchè proprio la gratitudine, probabilmente eccessiva, del neo Ct verso i "suoi uomini" ha in un certo senso frenato la crescita del Toro nell'ultimo anno: giocatori come Gazzi e come lo stesso Vives hanno dato tanto alla causa granata, ma per il salto di qualità serviva di più.
Ventura, come detto, per gratitudine, non ha avuto il coraggio di salutare i suoi scudieri e di proseguire il cammino verso l'altro intrapreso dal Toro sotto la sua gestione. In questo senso l'addio di Glik, al netto della volontà del polacco di cambiare aria e spiccare il volo verso il "calcio che conta", è un chiaro segnale: l'ormai ex capitano era stato una colonna della cavalcata del Torino venturiano dalla serie B all'Europa, la sua partenza è il simbolo di un taglio netto tra ciò che è stato e ciò che verrà. Ventura ha scortato il Toro dall'anonimato della serie B ad un posto di rilievo nella massima serie, ma la sensazione, come detto, è che il neo Ct non avesse ormai più nulla da dare all'ambiente granata.
A Mihajlovic, quindi, si chiede un ulteriore salto di qualità. Ventura ha portato i granata a prendere stabilmente parte al banchetto della serie A, dal serbo ci si aspetta lo step successivo, la prosecuzione di quel "percorso di crescita" tanto caro al tecnico genovese: in parole povere, la qualificazione all'Europa League. I primi due acquisti, tralasciando quello di Ajeti, arrivato a parametro zero, sembrano andare proprio in questa direzione: gli innesti di giocatori come Ljajic e Iago Falque, giocatori che solo cinque anni fa, per il Toro, sarebbero stati vera utopia, assecondano, almeno sulla carta, la volontà dell'ambiente, quella di tornare stabilmente a respirare aria d'Europa.
Pochi anni fa gli obiettivi di mercato si chiamavano Meggiorini e Barreto, superfluo sottolineare come e quanto le cose siano cambiate nelle ultime stagioni. Ventura ha riportato il Toro alle soglie dell'Europa, ora tocca a Mihajlovic prendere per mano i granata e portarli al di là di quella fatidica porta, verso una nuova era.