Francesco Guidolin socchiude la porta del campo, senza schiamazzi. 989 volte, considerando le sole gare ufficiali, ha percorso il cammino che accompagna dagli spogliatoi al campo. Le ore di allenamento, le partite, lo studio. Preparato, attento, silenzioso. Nel calcio mondano, chiassoso, a tratti volgare di oggi una luce bianca. La speranza per chi vede ancora nello sport qualcosa di diverso. Dispiace soprattutto per questo, perché gli sportivi perdono un gentiluomo. Mai sopra le righe, attento. Sposo perfetto di una dama, l'Udinese, dai contorni antitetici rispetto ai più blasonati club italiani, eppur invidiabile. Conti a posto e successi. Valorizzazione dei giovani, conquista ripetuta di piazzamenti europei. Un miracolo manageriale guidato dai Pozzo e da Francesco Guidolin.
"Un pò di tristezza, ma ho scelto io. Rimango qui, in famiglia, in questa terra". Dal prato del Friuli a un viaggio intorno al mondo, nel pianeta Udinese. Una sorta di elemento di congiunzione tra realtà orbitanti intorno alla casa madre. Watford, Granada e Udinese, un lavoro di analisi, crescita, sviluppo per mantenere competitivi i bianconeri senza l'esigenza di ingenti esborsi economici.
Tante volte Guidolin aveva minacciato l'addio. "Sono stanco", parole ripetute in svariate occasioni. Campanelli d'allarme importanti. Alla fine il senso del dovere, l'amore per la squadra e per il mestiere di una vita a far da contraltare ai desideri di riposo. Guidolin lascia in parte perché vede un calcio cambiato, non più suo. Spogliato di ideali imprescindibili, come rispetto, lealtà, senso del gioco. Non è un addio definitivo, forse un arrivederci. Una sorta di catarsi, di purificazione lontano da un mondo che tanto da, ma altrettanto richiede.
Si chiude la porta, appena accostata, quasi con timidezza. "Non voglio rovinare i bei ricordi di questi quattro anni".