¡Viva er Beti manque pierda!, "viva il Betis nonostante perda".
Siviglia operaia non ha bisogno di altre grida, né di qualcosa di diverso. Quella fetta di città che indossa i guanti, impolverata, sudata e lavoratrice, chiede solamente di poter seguire, finché morte non li separi, la propria squadra del cuore: il Real Betis Balompié. Nonostante il Betis perda, e perda spesso, i suoi tifosi non riescono a tradire la propria fede, a scacciare dalla propria testa quell’eco che sa di richiamo irresistibile, proveniente dritto dritto dall’èstadio Benito Villamarìn, casa del Betis, chiesa per la Siviglia biancoverde.
Già, perchè nella Liga il Betis Siviglia, lo scorso anno, terminò il proprio percorso "solo" in 15esima posizione, appena 8 punti sopra la linea retrocessione, eppure quasi 34000 anime, ogni fine settimana, si recarono con immensa devozione nel proprio cilindro sacro.
La mistica del Villamarìn
Sebbene sia stata una stagione claudicante, piena di intoppi, di deviazioni, di cambi in corsa e di rimonte, questa mette comunque in vetrina un dettaglio assai intrigante. Quasi sbalorditivo.
Se prendiamo in esame i risultati del Betis quando gioca in casa, e li commisuriamo a quelli di quando gioca in trasferta, notiamo immediatamente diverse e forti dissonanze: 1.32 di media punti in casa, contro gli 0,74 in trasferta; 6 sconfitte nell’arco di tutto l’anno in casa, e 13 in trasferta; 24 gol subiti in casa, e 40 in trasferta.
Se il Betis, squadra che obiettivamente potrebbe puntare ad una piazza di centro-basso classifica, avesse replicato anche in trasferta la sua media punti casalinga, avrebbe concluso il campionato in 11esima posizione, la quale sarebbe stata certamente più consona ai valori di questa rosa. Ma ciò sui cui mi volevo soffermare, è la discrepanza di puro rendimento, al di là del risultato, di quando il Siviglia gioca dentro o lontano dal proprio stadio.
È evidente che il Betis che gioca al Villamarìn, non è il Betis che gioca fuori dal Villamarìn: questo stadio emana un’aura mistica, sovrannaturale, quasi di preghiera, inconcepibile per gli estranei ed esclusiva per chi sente dentro di sé il sacro richiamo. È come se il Betis nel suo stadio giocasse con un muro invisibile, fatto di pensieri e volontà, che protegge e difende la propria squadra. Soprattutto nelle grandi domeniche, come in quella fredda di gennaio, quando il Barcellona dell’ormai defunta MSN venne messo a cuccia per 89 minuti, ma poi si salvò immeritatamente in extremis con Suarez (1-1); oppure ancora nel pareggio contro l’Atletico Madrid (1.-1), o nella vittoria per 1-0 contro il Bilbao di Valverde. Però nella partita più importante dell’anno per i verdiblancos, ovvero il derby di Sevilla al Villamarìn, il Betis perse, andando in vantaggio nel primo tempo, e subendo prima il gancio del pareggio, poi il montante del K.O. di Iborra, nei minuti finali.
Vecchio è parente di nuovo
La stagione che sta per cominciare vedrà nel Betis un volto dai nuovi lineamenti. Via la stella Dani Ceballos (17 milioni, come da clausola, sic et sempliciter) al Real Madrid, l’italiano Piccini allo Sporting, Petros torna in Brasile al San Paolo, escono anche Portillo, Martìn, Dani Pacheco e Bruno Gonzalez. Alex Alegrìa invece viene ceduto in prestito al Levante, neo promossa in Liga.
Molti addii corrispondono spesso a molti saluti di benvenuto, che nella fattispecie saranno rivolti a Victor Camarasa, Cristian Tello, Sergio León, Feddal, e soprattutto Andrès Guardado. In prestito arrivano dalla Premier League anche Antonio Barragàn e Jordi Amat, che tornano nella penisola iberica, loro terra natia, oltre al 20enne esterno Matias Nahuel.
Un nuovo disegno verdiblanco
Nell’ultima annata il Betis ha cominciato con Gus Poyet seduto in panchina, per poi continuare dalla 13esima giornata con Victor Sanchez, che ha fatto del 5-3-2 il suo marchio di fabbrica. Il moto che agita le panchine però, come si sa, è un nastro che si avvolge all’infinito, e difatti quest’anno il Betis inizierà l’avventura in Liga con Quique Setièn, ex allenatore del Las Palmas che in Canaria ha mostrato idee di calcio innovative e divertenti (Sanchez era l’opposto, autore di un calcio difensivo e pragmatico).
I moduli favoriti da Setièn sono il 4-2-3-1 ed il 4-3-3, e sarà curioso capire con quale pennello disegnerà il suo nuovo Betis. Ipotizzando la prospettiva di un 4-3-3:
Di certo importantissimo l’approdo di Guardado, che porterà atletismo, esperienza internazionale, ed intelligenza ad un centrocampo che ne avrà certamente bisogno, a maggior ragione dopo l’addio di Ceballos. Durmisi è il talento da tenere d’occhio, Pezzella e Mandi sono un’ottima cerniera centrale, e Cristian Tello l’uomo in cerca di riscatto, di cui conosciamo bene le buone potenzialità.
Meglio prima che tardi
Con il mercato pragmatico, preciso e mirato (sia in campo che in panchina) è chiaro che il Betis ha un progetto sostanzioso in mente. Progetto improntato a dare i primi frutti nel minor tempo possibile, e meno alla prospettiva, dati gli acquisti di Guardado e Sergio Leòn, e il richiamo di Amat e Barragàn. La rosa comunque non si fa mancare giovani di talento come Camarasa e Tello, che saranno probabilmente protagonisti in cerca di grande continuità in una squadra che vuole tornare ad alzare la testa. Forse è troppo presto per puntare all’Europa, ma intanto il cilindro magico biancoverde di Siviglia si prepara ad una stagione prima di tutto divertente e spettacolare (di questo Setièn è pura garanzia).
Ma comunque, a prescindere dal risultato.. ¡Viva er Beti manque pierda!