Ha aperto il Real Madrid a Ipurua, con un poker che ha tranquillizzato l'ambiente merengue prima del ritorno degli ottavi di Champions, ha risposto il Barcellona al Camp Nou contro il Celta Vigo, con una manita che ha alimentato speranze di clamorosa remuntada ai danni del PSG di Unai Emery (4-0 all'andata al Parco dei Principi).
Due modi diversi di vincere. Un unico obiettivo, il titolo in Liga. Già, perchè del domani in Champions non v'è certezza, e un trionfo domestico renderebbe accettabile anche un eventuale flop continentale. Discorso che vale soprattutto per il Real Madrid, a cui la Liga manca dai tempi del mai rimpianto Josè Mourinho (si leggano i retroscena del rapporto del tecnico portoghese con il vestuario blanco, pubblicati da Mesut Ozil nella sua autobiografia). Due squadre allenate in maniera differente, con due stili di gioco opposti. Più canonico e tradizionale il Real Madrid, fedele al dogma del possesso palla e dei reparti corti in avanti il Barcellona. Due tecnici che sono state glorie delle rispettive squadre: uno al passo d'addio, Luis Enrique, l'altro, Zinedine Zidane, costretto a guadagnarsi ancora la permanenza sulla panchina del Bernabeu, perchè con Florentino Perez presidente niente è mai dato per scontato. Per questi - e tanti altri - motivi, la Liga 2016/2017 vale tantissimo, anche tra i due litiganti vorrebbe godere il terzo, rappresentato dal Siviglia di Jorge Sampaoli, al di sopra di ogni rosea aspettativa, impegnato domani in un posticipo trappola a Mendizorroza contro l'Alavès. Agli uomini del tecnico argentino serviranno i tre punti per mantenere il ritmo forsennato di merengues e in particolare di blaugrana, che dopo il fragoroso rovescio di Parigi hanno inanellato una serie di vittorie indiscutibili, eccezion fatta per la fatica interna contro il Leganès. Battuto anche l'Atletico Madrid al Calderòn, il Barça ha spazzato via ieri sera il Celta Vigo, trascinato dal solito Leo Messi e sfruttando un turnover che a centrocampo comincia a dare i suoi frutti (Rafinha, Rakitic, Denis Suarez, tutti ruotati nelle ultime partite).
Turnover, lo stesso mantra di Zinedine Zidane, che ha approfittato di qualche fastidio muscolare di Cristiano Ronaldo, per dar spazio al Real dei palleggiatori, quello con Marco Asensio, James Rodriguez e Lucas Vazquez alle spalle di Karim Benzema, con Luka Modric direttore d'orchestra e Toni Kroos a riposare in panchina. Il tridente senza CR7 continua a girare come un orologio (nove vittorie nelle ultime gare senza Cristiano): il portoghese non è infatti più in grado di offrire prestazioni convincenti e continue da esterno offensivo, essendosi ormai evoluto (o involuto) in un fantastico, ma limitato, uomo d'area, che spesso si calpesta i piedi con i compagni Benzema e Morata.
Ed è forse questo il contrasto più stridente tra un Barça che arremba in rimonta e un Real costretto a mantenere il passo: la differenza di impatto sul gioco delle rispettive squadre di Messi e Ronaldo. Argentino e portoghese, che si sono spartiti copertine, milioni, Champions League e Palloni d'oro per un intero decennio, sono ancora i punti di riferimento delle due grandi di Spagna. Ma mentre il primo è osannato, difeso a oltranza dalla sua Barcellona, il secondo è talvolta criticato, osteggiato e persino fischiato dalla propria tifoseria, che gli rimprovera atteggiamenti da prima donna e una scarsa attitudine al gioco di squadra. Anche da una più brillante primavera del lusitano passano le speranze di titolo del Real, che da qui alla fine dovrà incontrare l'Atletico e il Siviglia in casa, oltre a giocarsi il Clasico davanti alla propria aficiòn. A Madrid sono pronti a festeggiare l'uscita dalla Champions degli arcirivali catalani, ma potrebbero accorgersi solo tra qualche settimana che i primi a dover sperare nell'ormai mediaticamente inflazionata remuntada sono proprio loro, i merengues, per avere qualche chances in più in una Liga dove si continua a correre a ritmi forsennati.