Quando, a una manciata di minuti dalla fine del primo tempo del match di ieri tra Real Madrid e Real Sociedad, il cantabrio Sergio Canales si è accasciato a terra tra lacrime di dolore e disperazione, quasi gattonando verso la linea laterale di un campo che era stato suo quando era solo un teenager, agli appassionati di calcio spagnolo sono tornate in mente altre immagini simili della carriera di questo talento mancino cresciuto nel Racing Santander. La prima risale al 23 ottobre del 2011, camiseta del Valencia sulle spalle e rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro nel match di campionato contro l'Athletic Bilbao. La seconda, ancor più drammatica, è di pochi mesi successiva, 27 aprile 2012, in una sfida di Europa League contro l'Atletico Madrid: altro k.o., stesso infortunio, stesso ginocchio, dopo una riabilitazione forse troppo affrettata.

Da lì in poi un lungo calvario tra infiniti tempi di recupero, trasferimento alla Real Sociedad (il 31 dicembre del 2014, un anno prima dell'ennesimo insulto all'altro ginocchio) e graduale evoluzione da promessa del calcio spagnolo a talento inesploso già in fase calante a soli 24 anni. Ieri l'ultimo colpo, un vero e proprio knock out, al Santiago Bernabeu, prato che aveva calpestato con alterne fortune nella primissima era Mourinho al Real Madrid, con un paragone nobile come quello con Guti, icona del madridismo nel primo decennio del nuovo secolo. Un movimento apparentemente normale, che tradisce però il cedimento del ginocchio sinistro, quello non ancora perseguitato dalla sfortuna. Le lacrime, la barella e poi un comunicato lapidario del club basco: "I primi esami strumentali sul giocatore rivelano una diagnosi compatibile con la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Altri controlli verranno effettuati per completare il quadro clinico". In un'altra epoca calcistica rompersi per tre volte l'ACL - così come è ormai abbreviato in lingua inglese - avrebbe significato chiusura immediata della carriera. Oggi il verdetto è formalmente diverso, ma pone seri dubbi sulle possibilità di Canales di esprimersi ad alti livelli, gli stessi che avevano portato le grandi di Spagna a contenderselo dopo una stagione da baby fenomeno con la squadra del cuore del Racing Santander.

Finito a Valdebebas in piena ricostruzione blanca, con Mourinho in panchina, Kakà, Cristiano Ronaldo, Mesut Ozil e Di Maria a sbarrargli la strada verso un posto da titolare, l'appena ventenne Canales fu ceduto al Valencia di Unai Emery, con Florentino Perez che volle però garantirsi la possibilità di riportarlo al Bernabeu con il noto diritto di recompra di tradizione ispanica. Al Mestalla i due infortuni che ne hanno bloccato la crescita, costringendolo a perdere sostanzialmente due intere stagioni, dal 2011 al 2013, prima di riassaggiare il campo in un Valencia totalmente in balia delle vicende societarie che avrebbero poi visto l'avvento del magnate di Singapore Peter Lim. Ecco dunque il nuovo cambio di casacca lo scorso inverno, con trasferimento a San Sebastiàn in maglia Real Sociedad. Un nuovo inizio per questo mancino a suo agio da trequartista come da mezz'ala, all'occorrenza esterno tattico di un 4-2-3-1. Fisico esile, velocità da numero dieci vecchio stampo, ma classe innata, mostrata a sprazzi sia per una qual certa discontinuità tecnica che per la fragilità articolare che lo ha sempre contraddistinto. Considerato da Del Bosque come uno dei successori della generazione post Xavi, Iniesta e Xabi Alonso, Canales stava provando a rigenerarsi in una squadra da metà classifica, ritrovatasi negli ultimi mesi a lottare per la salvezza.

Quella lotta per uscire dai bassifondi della classifica ora si tramuta in lotta per la sopravvivenza calcistica, per dimostrare ancora una volta che il talento non si infortuna mai, anche se la strada ora è davvero tutta in salita.