Se cercaste sul vocabolario, alla voce carisma, potreste avere piacevoli sorprese. Probabilmente trovereste l'immagine di un uomo, alto, sulla quarantina, capelli biondi e tratti tipicamente teutonici. E chi sarà mai questo personaggio dalle doti tanto acclarate? Non sarà facile risolvere l'indovinello, visto che il nostro eroe fino a pochi anni fa era praticamente uno sconosciuto. Tuttavia, la sua personalità (devastante, ma mai invadente o prepotente) lo ha lanciato inevitabilmente tra le grinfie del calcio mediatico degli anni duemila. Quell'uomo ha un nome e un cognome che i suoi avversari hanno imparato ad amare e odiare contemporaneamente, stressati dal suo pressing asfissiante e dalla sua tattica maniacale. Quell'uomo è Jurgen Norbert Klopp, capace di prendersi la copertina del football moderno e far cadere l'Europa ai suoi piedi.

Il calcio è un pò una metafora della vita. Corri. Cadi. Ti rialzi e sei più forte di prima. Trasportato dalla semplice carica emotiva che il tuo desiderio di rivalsa porta in seno. L'essere umano è per natura portato al superamento dei propri limiti, all'amore verso l'ignoto. Ebbene, il buon Jurgen aveva deciso di non lasciare nulla al caso, programmando con esattezza gli anni della sua rivincita, sulle ceneri di un club in evidente difficoltà. Il mondo del pallone imparerà velocemente ad amare la sua schiettezza e la sua semplicità, a volte quasi infantile, ma terribilmente diretta. Sembra quasi un padre quando si rivolge ai suoi calciatori: l'aspetto mentale è alla base del suo credo calcistico. Sia chiaro, ha ancora molta strada da fare, ma “il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette” cantava De Gregori. Pienamente d'accordo con lui. La stoffa del fuoriclasse c'è ed è visibile a occhio nudo. Colpiscono le qualità di un uomo capace di essere speciale nella sua normalità. Antagonista, involontario ahimè, di un altro guru del calcio contemporaneo. Un uomo speciale fino al midollo (forse anche troppo) che non perde mai un minuto per ricordarlo al mondo intero. Il parallelismo tra i due appare evidente ed incosciente. Il nobile Mou ha piegato il globo alle sue vittorie, compattando squadre e giocatori spingendoli al logoramento psicologico prima che fisico. Il rumore dei nemici lo gasa, lo rende più forte. Al contrario, Jurgen Klopp non ha nemici, o almeno non fuori dal campo, ma si è costruito la sua fortuna mattone dopo mattone, schema dopo schema, partita dopo partita. La rivoluzione del calcio moderno, coadiuvato dalle nuove filosofie pallonare, ha consegnato la ribalta d'Europa al tecnico tedesco. Egli, dal canto suo, ha trovato un angolo di paradiso in quel di Dortmund. L'ammirazione del club, dei giocatori, dei tifosi.

Il Klopp-allenatore è legato (e lo sarà per sempre) ai colori gialloneri. Il suo è un cordone ombelicale che lo ha lanciato sui grandi palcoscenici e lo ha svezzato. La sua carriera parte da Dortmund e in Dortmund si identifica,  una città piegata al volere di un singolo “eletto”. Tuttavia, il Klopp-uomo e il Klopp-personaggio trascendono da questo legame più che affettivo. Certo, l'amore eterno giurato davanti alla sua curva è emblematico, ma l'essenza di Jurgen va oltre l'ormai scontata configurazione con il popolo della Vestfalia. L'“anti-Mourinho” (così definito da alcuni esperti) finirà col diventare ciò che egli stesso odia maggiormente: un fenomeno mediatico che prenderà, presumibilmente, il posto del genio di Setubal. Il suo rapporto con i giornalisti e il suo modo di comunicare schietto e innovativo rappresentano il futuro. Questi fattori rafforzano una tesi alquanto opinabile, ma teoricamente veritiera. Il nostro eroe è destinato ad un avvenire costellato di vittorie e successi, ma probabilmente finirà col plasmarsi a questa società “malata”.

“Il mio calcio è heavy metal. C’è chi dirige la squadra come un’orchestra. Fanno possesso palla, i passaggi giusti, ma è come una canzone silenziosa. A me piace vedere il pallone di qua, di là, le parate dei portieri, pali, traverse, noi che voliamo dall’altra parte”

Effettivamente, il suo stile estroso e decisamente sopra le righe rispecchia il modo in cui l'allenatore di Stoccarda vive e sente la partita. Urla, grida, piange, si dispera, esulta. È un po l'allenatore che tutti vorrebbero. Chi non vorrebbe un allenatore che vince e fa divertire. Ma lui va oltre. Riesce a creare una sorta di empatia simbiotica tra i suoi giocatori e la città che essi rappresentano. C'è riuscito in Germania, ci sta riuscendo in Inghilterra. A Liverpool, sponda Reds, dove sono abituati ad infuocarsi con il calcio champagne e il Gegenpressing li manda letteralmente in estasi. Al di là della rivoluzione tattica, messa in moto dopo oltre 325 presenze con il Mainz da calciatore, Klopp ha portato una ventata di entusiasmo sotto vari punti di vista. Le sue conferenze stampa sono, oltre che siparietti, delle feste quasi. Chi sorride, chi ride, chi scherza. È riuscito a creare un'atmofera quasi surreale, totalmente in antitesi con il metodo bellicoso mourinhano. Il portoghese, normale nella sua specialità, ha fatto degli eventi mediatici vere e proprie trincee in cui scegliere meticolosamente i propri alleati e scagliarsi contro il resto del mondo. I due, a conti fatti, ottengono gli stessi risultati attraverso metodi diametralmente opposti. Coincidenza? Non ne sono del tutto certo. Sta di fatto che i nostri “supereroi” rappresentano due facce della stessa medaglia che non possono coesistere ma che risultano inevitabilmente collegate.

Personaggio intrigante, il nostro Jurgen. Quasi fascinoso. La sua psicologia moderna si riflette in maniera inevitabile nei suoi metodi di lavoro: tecnologici, ma al tempo stesso legati ai veri valori del gioco del calcio (e non solo). Ricordo un aneddoto, ai tempi di quando allenava il Mainz, costrinse tutta la squadra ad andare in ritiro in Svezia… In una “selva selvaggia e aspra e forte” come direbbe Dante, “che nel pensier rinova la paura". Già, in una selva selvaggia: una sorta di accampamento nei pressi di un lago, al freddo, senza cibo, né corrente elettrica, in cui per sopravvivere (sopravvivere!) i suoi atleti dovettero imparare a pescare, a nutrirsi di ciò che trovavano e che natura lor concedeva. “Mister ma quando ci alleniamo?” “No, non ci alleneremo. Dovrete prima imparare a sopravvivere a qualsiasi situazione”. Non è una storia inventata, sia chiaro: lo ha rivelato proprio Klopp. Al termine di quella stagione, un Mainz praticamente spacciato raggiunse un'insperata salvezza. Ecco, forse questo breve racconto sintetizza al meglio il carattere di un uomo che colorerà, volente o nolente, i prossimi 20-30 anni di calcio internazionale. Siamo solo al principio, ma forse la storia si prepara a diventare leggenda. Lo dimostra la vittoria in Bundesliga nel 2011, lo dimostra la maledetta finale di Champions persa col Bayern. Si dice che la fortuna aiuti gli audaci. Non so se sia vero, ma di certo ha un debito con questo ragazzone di Stoccarda, che si è sporcato le mani e si prepara ad entrare nella storia. In bocca al lupo 'Normal One'!