Parafrasando Bernardo di Chartres e contestualizzando la sua famosa frase "Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l'acume della vista o l'altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti"  al mondo della pallina gialla, intuiamo rapidamente la contrapposizione tra le due fazioni prese in esame. Nel tennis moderno, ì giganti sono 4: Roger Federer, Rafael Nadal, Novak Djokovic, Andy Murray. In ordine sparso. I nani invece coprono una fetta ben più grande: pullulano, sgomitano, abbracciano le caviglie e salgono fin sopra le spalle aggrappandosi al tessuto di una t-shirt. Scoprono l'infinito leopardiano, captano segreti, li ammirano, li imitano. Molti sono più giovani, hanno il loro esempio, e dovrebbero essere i nuovi condottieri, i futuri giganti. Eppure in questo mondo scapestrato, i giganti continuano ad inglobare esperienza, ed i nani non riescono a tenere il passo.

Ma stacchiamoci dalla filosofia transalpina, dal 1100, dagli aforismi. Passiamo al pratico; cioè al rumore ovattato di una pallina da tennis che vibra sul piatto corde, e dal modo in cui questi campioni la colpiscono. Con un piccolo squarcio sulla loro vita.

Andy Murray

Londra, 1934. Un debordante Fred Perry trionfa su Jack Crawford con il punteggio di 6-3 6-0 7-5. La Bretagna è in festa, ribolle di felicità, è ubriaca di ambizioni. Fred si ripete ai Championships nei due anni successivi, coronando una tripletta senza eguali. L'ambizione, i sogni ed i progetti di un popolo, svaniscono sotto i colpi incessanti del tempo. Il Regno Unito non partorisce tennisti adatti a cucirsi sul petto la coccarda di campioni. Nuotano nel limbo, fino all'avvento di Andy Murray; scozzese d'origine, futuro condottiero, campione per caso,. Sguardo penetrante; animo buono graffiato da un ricordo acre e straziante successo quando era solo un bambino: l'attentato nella scuola che lui ed il fratello Jamie frequentavano. Un uomo armato, la paura dilagante, i morti. Loro riuscirono a nascondersi, e si salvarono. Il rampollo scozzese cresce, prende sempre più feeling con la racchetta ed inizia a far conoscenza dei grandi palcoscenici, tra cui Wimbledon. Rincorre il sogno, lo sfiora, lo carezza, ma il trofeo termina sempre nelle mani altrui. Le coordinate della disperazione vengono a galla nel 2012, quando Federer lo spedisce all'inferno vincendo e scrivendo la storia. Sono lacrime, e solcano un viso amareggiato. Spezza parzialmente l'incantesimo due mesi più tardi, torna a far sognare un popolo l'anno successivo: 77 anni dopo; Murray regna su Londra, un britannico regna su Londra.

Murray - Fonte: mirror.co.uk

Balziamo rapidamente all'attualità, dopo una lungo preludio - doveroso - sul 30enne di Dunblane. Un 2017 difficile, povero di trionfi - uno soltanto: Dubai, ATP 500 - e con tanti malanni fisici. Il figliol prodigo ritorna a casa dopo un anno di pellegrinaggio, è prassi. Il centrale lo riempie di attenzioni, lui prova a scuotere via la ruggine degli ultimi mesi. Lo scozzese appare più fluido, concentrato, attento, rispetto alle ultime versioni proposte. Al centometrista scattante ed agile come una lepre, viene aggiunta una maggiore solidità da fondo ed un'ottima velocità di piedi sia negli spostamenti laterali che verticali. Brown ha riportato in auge il Murray -intravisto qua e là - di tocco, bravo a rete e scrupoloso nel ricamare, Fognini lo ha costretto alla solidità ed al tagliente passivismo che lo ha reso così forte. Non è mancata nemmeno quella spruzzata di aggressività, quell'indole offensiva forgiata con Lendl. Adesso troverà Paire, un cavallo pazzo, un altro anarchico dopo la parentesi Brown. Importante contenere il suo rovescio, devastante. Road to 3th Wimbedon

Murray - Fonte: @Wimbledon / Twitter

Novak Djokovic

Coronare un sogno in una Serbia stretta nella morsa della guerra civile, continuare a colpire ripetutamente una pallina alienandosi dal brusco contesto che lo cingeva. Nasce così il mito di Novak Djokovic; un ragazzino che usava lo sport come mezzo di pace, che passava ore ed ore al tennis club del Partizan, un rifugio considerato sicuro ed inattaccabile. Perché quando esplodono bombe anche nel giorno del tuo dodicesimo compleanno, quando la notte viene illuminata dalle sirene e dalle deflagrazioni, puoi solo lottare. Bruscamente, oppure disegnando un futuro imbracciando una racchetta. Jelena Gencic lo prende sotto la sua ala protettrice, e nel 1999 lo spedisce a Monaco da Niki Pilic. Nole pian piano si inserisce nel mondo del tennis, scala gradini, e nel 2008 è sulla bocca di tutti. Il 2011 è l'anno perfetto, altre 5 stagioni di dominio prima del declino

Djokovic - Fonte: tenniscircus.com

Camaleontico, malleabile come il pongo. Djokovic ha una storia positiva con i Championships grazie al suo gioco tutt'altro che unilaterale. Tre successi sul prato verde, battendo una volta Nadal e due volte uno come Roger Federer. Come per Murray, il 2017 non contiene l'emorragia di sconfitta e la moria di risultati. Eppure c'è vento di cambiamento, c'è Agassi, per ora; la missione Eastbourne è andata in porto, Wimbledon può far sognare. Novak ha ristretto il numero degli unforced ritrovando timing, è più perforante con i colpi base e si sposta meglio. Di partita in partita, la velocità dei piedi prende pieghe tambureggianti - come nei bei tempi - e la difesa è nettamente più solida, il servizio c'è. Si rivede il body language e gli urli che squarciano il cielo dell'All England Club - chiedere a Gulbis. Ora c'è Mannarino: mancino con un dritto temibile - soprattutto inside-out - bravo da fondo e da rete, ma con scarsa tenuta fisica e mentale. Nole - insomma - ha un tabellone benevolo sino alle SF. E' più di una suggestione estiva. 

Djokovic - Fonte: @Wimbledon / Twitter

Roger Federer

L'elvetico è un intramontabile  sample anni '80 inserito in una traccia blues/jazz dei più recenti anni 2000. Due generi musicali particolari, toccanti, che hanno intrapreso - ahinoi - la via del declino. Parallelamente, il suo tennis  è una goccia in un mare omogeneo, che perde la sua ricchezza. Federer ed il suo giardino, lo spazio verde; un rapporto morboso ma difficile, non sempre idilliaco. Non serve presentare il maestro, i suoi record, la sua infanzia tra calcio e tennis, la sua adolescenza iniziata con un carattere burrascoso, e terminata brillantemente sotto il lavoro di Carter. Già, quel Peter Carter che ha smussato la sua personalità, che ha incanalato rabbia e temperamento nei giusti canoni, che lo ha fatto diventare il tennista che conosciamo. Un fratello maggiore, un amico caro dentro e fuori dal campo, il coach che lo ha visto passare dai tornei junior a quelli del Grand Slam. Poi il tragico incidente; la Jeep di Peter va fuori strada causa un minivan palesatosi all'improvviso, non c'è nulla da fare. Roger riceve la notizia e scoppia in lacrime, trasformatasi in tristezza poco dopo. Il ragazzo intemperante non c'era più, c'erano le stimmate del campione. Quel campione che ad ogni Australian Open paga viaggio, hotel e bigletto ai genitori del suo caro amico

Federer - Fonte: tenniscircus.com

Lo sappiamo tutti il rapporto tra Wimbledon e Federer, tra l'erba in generale e Federer: relazione viscerale, profonda. Cinque sigilli tra il 2003 ed il 2007 per eguagliare Borg, altre due affermazioni - 2009/2012 - per eguagliare Sampras. Nel mirino, ora, il sorpasso a quest'ultimo; per essere eletto, ufficialmente, l'imperatore dei Championships. Come accaduto in diversi tornei, lo svizzero gioca le prime sfide con il freno a mano tirato. L'esempio lampante sgorga da Halle 2017; scossone in semifinale, entra con la sesta in finale. In questi primi turni; tanta tattica e poca enfasi, tante variazioni e poca corsa. Serve & volley, uno-due, gioco a rete/ punto da fondo rallentando con il back ed accelerando con l'inside-out. Promette un cambio di ritmo dal 4T in poi, d'altronde il meglio viene sempre sul finale. Deve contenere Dimitrov, la sua copia sbiadita e sgualcita.

Federer - Fonte: @Wimbledon / Twitter

Rafael Nadal

Nessun contesto difficile, nessun fatto particolare, nessun amico perso. Rafa nasce con la passione nel sangue, con il fuoco nell'anima. La piazzola di Manacor, la chiesa, una casa a 5 piani dove è riunita tutta la famiglia. Tocca con mano il lavoro guardando gli zii; uno - Miguel Angel - calciatore del Barcellona, l'altro - Toni - un ex tennista. Opta per la pallina gialla, galeotta fu la la scelta. Forgia una statua di ferro Toni: muscoli, potenza, braccio bionico, forza mentale. Ma il dritto è opera del diretto interessato, un apertura alare all'inverosimile che lo aiuterà non poco. Il maiorchino entra prepotentemente nel circuito: a 16 anni e 10 mesi è top 100, a 19 il primo dei dieci Roland Garros. Matura una carriera incredibile, 15 Slam and counting

Nadal - Fonte: zimbio.com

Un rapporto tutt'altro che idiallico con l'erba, superficie che richiama più al talento che alla forza bruta. Eppure Rafa a Londra ha alzato il trofeo, per ben due volte. Nel 2008 battendo Federer in quella che - per molti - è una delle partite più belle della storia, e nel 2010 arando Berdych. Dopo aver saltato il Queen's, torna nel teatro dei sogni mostrando una forma fisica invidiabile ed una varietà di colpi che molti sottovalutano. Su tutti, l'affettata palla corta volta a spezzare le gambe dell'avversario. Inoltre, il caldo asfissiante rende meno resistente l'erba, ormai un lontano ricordo sulla linea di fondo; campo più lento, rimbalzi più alti, Rafa può arpionare. Adesso un romantico big server erbivoro come Muller. 

Nadal - Fonte: @Wimbledon / Twitter

Nel 2011, in semifinale andarono 3 dei 4 Fab, con Federer che subì la clamorosa rimonta di Tsonga. Vinse Djokovic su Nadal