Una luce fioca, flebile, penetra tra i vetri isolanti di una finestra. Uno sguardo sgualcito dai pensieri si contrappone all'anima, in pena per un futuro più che mai cupo. I dottori bisbigliano tesi, analisi e stilano supposizioni mentre il tuo braccio protetto dal gesso emana dolore. Un sogno sta per essere accatastato; impilato, chiuso e posto sotto combinazione. Tutto svanito tra le lettere di una cartella clinica che desta paura e sgomento. Non ci sarà più nulla. Il sudore, le risate e gli obiettivi di un allenamento, l'adrenalina nel giorno della gara. Passeggiare tra corridoi infiniti imbracciando una borsa colma di racchette, energizzanti e foglietti sparsi; aspettare con ansia il richiamo dello speaker ed entrare nella selva pronti a stridere, sporcare e consumare le scarpe per un pezzettino di gloria. Nulla. Buio. Buio totale. I medici proferiscono parole dure e le speranze crollano da un momento all'altro, come carte accarezzate dal vento. "Dovevo smettere di giocare" racconta Del Potro. "Grazie a chi mi ha aiutato a non scegliere la strada del ritiro".
Poi la rinascita, la voglia di strappare in mille pezzi un destino già scritto. Il comeback - doppio - a testimoniare un fuoco che arde, impossibile da spegnere. Torna il 15 febbraio nella frenetica America. Lo aspettano a Delray Beach, Florida, ATP 250. Tre turni superati prima dell'estromissione da parte di Sam Querrey - futuro campione - in semifinale. Ma ciò importa poco; l'eroe di Tandil, il gigante buono argentino, è pronto a far sognare un popolo caldo e sanguigno. E' pronto a sollevare delicatamente la mano per salutare coloro che lo ritraggono in qualche bandiera vissuta o che lo incitano attraverso cori e cantilene. Il 2016 di Palito è un treno che viaggia ad alta velocità, che sfreccia sul binario delle emozioni. E' tutto racchiuso nelle dolci lacrime dopo la vittoria contro Thiem a Madrid, nella commozione dopo i cori riservatigli a Wimbledon. Senza dimenticare lo scalo a Rio, la vittoria su Djokovic e l'inverosimile medaglia d'argento che impreziosisce il petto. Tutto condito da un'atmosfera fiabesca, con quel pathos smorzato da note fantastiche tipico da giocatori inversamente proporzionali per grandezza e altezzosità.
Arriviamo a Zagabria, la terra dei croati. L'ultimo atto della Coppa Davis 2016. Gloria eterna spalmata su massimo 5 match. Delpo recupera forze mentali e fisiche per ribaltare un pronostico. Con lui - a supportarlo nell'impresa - una gloriosa squadra, maledettamente coesa. Delbonis cade mestamente contro Cilic in 5 set, dopo una rimonta tutto cuore. Arriva la sfida tra giganti; Karlovic opposto a Del Potro. Il sudamericano non fallisce l'opportunità, quattro set bastano per consegnare la sconfitta alla Croazia. Il sabato regala un doppio dal sapore amaro, tre veloci set e 2-1 Europa. Le strade si incrociano, il match sfocia nel settimo giorno della settimana. Giorno di chiusura, di festa, di fine dell'anno tennistico. Ed ecco Cilic - Del Potro, il duello epico tra i due rappresentanti di spicco. Il croato è perfetto nei primi due set; cinico, freddo, spietato. Un omicida con la pistola fumante, pronto a porre fine all'idillio. Delpo non lo accetta, risorge dalle ceneri come una fenice e ricostruisce - in due ore - un sogno proibito. Stende le braccia e vola sopra la folla argentina, 2-2. Parità. Spetta a Delbonis adesso, chiudere il cerchio. Dal suo piatto corde esce un tennis mai visto prima, sostanza e concretezza nonchè maestria e delicatezza. Il gigante Karlovic si arrende, Federico cade a terra esausto ma felice. La prima Coppa Davis è realtà; l'Argentina ha dei nuovi eroi, capitanati da un re errante e vincente. Essere campioni significa lottare contro il fato, abbracciare l'insalatiera spargendo un messaggio metaforico. Ancora una volta, vamos Delpo. Grazie per le emozioni