Forse nemmeno il più inguaribile ottimista tra i tifosi granata, fino a dieci giorni fa, avrebbe immaginato che il Toro sarebbe uscito con sei punti dalla terribile sette giorni pre-sosta. Dieci giorni fa i ragazzi di Mihajlovic erano reduci da tre gare opache, prive di vittorie e avare di gol: la sconfitta a Bergamo, i pareggi a reti bianche contro Empoli e Pescara, la sensazione di una squadra dalle idee confuse, ancora lontana dal trovare il bandolo della matassa. Dieci giorni fa, il Toro si apprestava ad affrontare in rapida successione Roma e Fiorentina, ed era onestamente difficile pronosticare una doppia impresa da parte di una squadra che fin lì aveva faticato enormemente a trovare la propria identità.
Contro i giallorossi e contro i Viola, però, i granata hanno sfoderato una nuova veste: il Toro che ha ottenuto bottino pieno proprio nei due più complicati impegni stagionali è un Toro da battaglia, una squadra gagliarda, grintosa, letale nelle ripartenze. Una squadra nella quale, dopo un periodo di rodaggio che col senno di poi era più che prevedibile, oltre che comprensibile, la mano di Mihajlovic è evidente: sì, il Toro visto contro Roma e Fiorentina ha il carattere tenace del suo allenatore, la carica e il furore agonistico tipici del suo condottiero. Non è di certo la squadra più bella del campionato, ma i passi avanti mostrati nelle ultime due uscite, dopo un grigio primo mese di campionato, sono notevoli. Rispetto alla gara di sette giorni prima con la Roma, il Toro visto ieri contro i toscani di Sousa è stato forse meno brillante e lucido nel ripartire: i granata, in avanti, hanno prodotto meno rispetto a quanto fatto contro i giallorossi, ma tanto è bastato per avere ragione contro una Fiorentina che ha trascorso lunghi frangenti specchiandosi nel suo possesso palla, troppo spesso fine a sè stesso, senza mai andare al dunque. L'esatto opposto di quanto messo in pratica dal Toro, che si è difeso attaccando, vale a dire pressando a tutto campo, cercando di soffocare, o quantomeno disturbare, la ragnatela di passaggi viola, costringendo molto spesso alla giocata forzata, e di conseguenza all'errore, i palleggiatori di Sousa. Strategia fruttuosa, quella dei granata, che nonostante la mole di gioco accumulata dai toscani hanno rischiato relativamente poco: il colpo di testa di un Kalinic versione Dzeko nel primo tempo, neutralizzato da Hart, seguito dal sinistro in mischia di Sanchez, fuori di un soffio, oltre ovviamente al gol di Babacar, in cui è stata evidente la distrazione di un Rossettini che ha sofferto la fisicità prima del croato e poi del senegalese. Bene gli esterni Zappacosta e Barreca, quest'ultimo messo un po' in difficoltà da Bernardeschi in avvio, ma lucido e concentrato nel trovare le contromisure alla distanza, bene il centrocampo, con un Valdifiori in costante crescita, un Acquah più preciso del solito e un Benassi ormai insostituibile, non soltanto per il gol. E poi c'è l'attacco, quell'attacco che è il vero e proprio fiore all'occhiello di questo Toro. Quando i granata riescono a portare la sfera sul tridente, si ha sempre l'impressione che possa accadere qualcosa da un momento all'altro. La qualità, lì davanti, è alta, le soluzioni, per i granata, sono molteplici: la potenza di Belotti, la sfrontatezza di Boyè, la concretezza di Iago Falque, a cui si unirà presto la tecnica sopraffina di Ljajic, che ieri sera, nel finale, ha dispensato lampi di classe.
In due partite, insomma, Mihajlovic ha spazzato via il ricordo del Toro attendista e speculativo dell'era Ventura. Quello del serbo è un Toro da battaglia, che pressa a tutto campo, che non rinuncia mai ad offendere, anche a costo di concedere qualcosa in più in fase offensiva. Un Toro da battaglia che piace a critica e tifosi, un Toro che può vantare ancora ampi margini di miglioramento: i granata sono stati completamente stravolti dall'estate di mercato, lecito prevedere che l'intesa, tra i "soldati" di Sinisa, possa crescere ancora.