Da un maestro, ad un altro. Da quello di campagna, Maurizio Sarri, come è stato definito dopo il passaggio estivo al Napoli, a quello svizzero, che però ribolle come il predecessore quando siede in panchina: Marco Giampaolo ha saputo ereditare, sulla panchina dell'Empoli, il pregevole operato del tecnico toscano e, dopo i primi mesi di campionato, il bilancio è senz'altro positivo. Tante le lodi per il mister di Bellinzona ex Siena e Cagliari, che ha stupito tutti. 

Tuttavia, l'umiltà, come caratterizzava la squadra toscana lo scorso anno, fa parte anche dell'indole di Giampaolo, che non dimentica chi gli ha facilitato il lavoro: "Sarri a Empoli è stato tre anni. Un allenatore che è più allenatore e meno gestore lascia una traccia, soprattutto quando gli viene dato un arco temporale così lungo. Maurizio ha lasciato un grandissimo culto del lavoro, principi di gioco che sono riferiti più alla palla che all’uomo". Idee che si sposano con quelle di Giampaolo e che hanno sicuramente facilitato il suo inserimento, non senza differenze: "Avendo le stesse idee, è come se li avessi già allenati. Per noi non è l’avversario da tenere in considerazione, ma pensare collettivamente e correre collettivamente in base al pallone. Il possesso palla, il cercare di giocare la partita senza farsela giocare dagli altri, rispetto all’Empoli di Sarri forse palleggiamo di più, le differenze sono nei particolari".

L'analisi di Giampaolo si sposta, successivamente, sulla forza dell'Empoli. Progettualità, anche a lunghissima scadenza, senza alcuna pressione: "Empoli programma, sa quali sono i suoi limiti, dal punto di vista finanziario, sa che deve rischiare qualcosa sui giovani, perché ne va della sopravvivenza del club. Tutto questo la società lo fa con una logica. L’anno scorso è andato via Hysaj e aveva Laurini, dà via Rugani e sapeva di avere Barba, dà via Vecino e sapeva di avere Zielinski, forse la migliore mezz’ala d’Italia. E’ una società che pensa, palo fuori o palo dentro non modifica la decisione del club. Il risultato della domenica non è la verità, ma il lavoro del martedì del mercoledì, il direttore sportivo è sempre presente, guarda il lavoro. Ci sono tanti altri club dove il modo di pensare è diverso". 

Gran parte di questo merito va, oltre al direttore sportivo Carli, al presidente Corsi, che il mister racconta così: "E' qui dal 1991, è uno che capisce di tecnica, di calcio, di preparazione fisica. Non è invadente, però quando ci parli ti rendi conto che sa, frutto di venticinque anni di esperienza. Il suo avere molti buoni allenatori lo ha arricchito".

Il nome di Giampaolo, così come quello di Sarri, è stato in questi giorni inevitabilmente accostato alle big del campionato, anche se gran parte delle panchine per la prossima stagione sono già assegnate. Lo svizzero di nascita parla così della difficoltà di imporre idee e filosofia di gioco ad alti livelli, quando è il risultato che conta più di ogni altra cosa: "La capacità di gestire nei grandi club o di insegnare nelle piccole? E’ un luogo comune. Sarri dimostra che non è così, quando venne Luis Enrique dissi che questo era un grande. E’ uno che ha messo fuori De Rossi in un Atalanta-Roma per far rispettare le regole, comportamenti forti che la squadra recepisce in maniera positiva, la squadra sa se quello è giusto. Devi sapere allenare e saper gestire, capire chi mina la mia credibilità. Capello a Roma sapeva gestire Cassano, al Real no: qual è la differenza? E’ il club che ha in mano la credibilità dell’allenatore".

Infine, tra le altre cose, inevitabile un paragone tra il suo Empoli ed il Napoli di Sarri: "Cosa rivedo? La stessa capacità di difendere con la linea alta, rubare palla il più alto possibile, la transizione veloce e l’idea della scelta di giocatori di qualità in determinati ruoli. La qualità ti permette di giocare bene, non puoi pensare di far giocare bene una squadra che non ha qualità. Il senso non è bilanciare: metto uno di qualità accanto a uno che corre. No. Metto due di qualità e li faccio correre".