Probabilmente, si stava meglio quando si stava peggio. Il paradosso della frase in sé fotografa, nel miglior modo possibile, la situazione attuale del mondo tricolore della Dea Eupalla. L'Italia del Calcio si affaccia alle ultime due giornate con pochi verdetti da emettere, ma non per questo la credibilità del campionato e la situazione generale viaggia sui binari della tranquillità e della sportività. Tutt'altro. Come spesso accade, la corsa all'occasione ed al menefreghismo prevale. Sull'asse Torino-Napoli, passando per la capitale dello Stivale e del relativo derby, si è creata una confusione unica per quanto riguarda l'organizzazione dell'ultima giornata, senza precedenti. Il solito pasticcio all'italiana. 

IL PECCATO ORIGINALE - Da dove nasce la necessità di spostare il derby di Roma? Apparentemente da nessuna motivazione valida. Quando sono stati stilati i calendari ufficiali della Serie A, tenendo conto della possibilità concreta del raggiungimento da parte della Juventus della finale di Berlino (così com'è poi accaduto, per fortuna del Calcio Italiano),  ci si era cautelati per spostare la data della Finale di Coppa Italia nell'unica data disponibile (domani, 20 maggio). Gara che andava a frapporsi tra la terzultima e la penultima giornata di campionato, con equa distanza tra le due gare in questione. Anzi, per favorire le finaliste, a giusta ragione, si è provveduto ad anticipare le gare di Lazio e Juventus al sabato. 

L'INTOPPO - Secondo la Lazio, però, in vista dell'imminente derby della capitale, decisivo come mai per le sorti dell'una e dell'altra squadra, era incompatibile ed impossibile giocare tre gare nell'arco di otto giorni (come se le squadre che partecipano alla Champions League o all'Europa League giocassero in altre date n.d.r.). Dunque, il Presidente della Lazio, Claudio Lotito, in completo disaccordo con una parte del consiglio di Lega e della squadra avversaria in questione (la Roma), ha chiesto ed ottenuto lo slittamento della gara a 27 ore dopo l'orario prestabilito. Grazie ad un'astuta mossa di rimborso di tutti i biglietti degli spettatori che non potranno essere presenti lunedì all'Olimpico, e noncurante dell'ora nella quale si giocherà che potrebbe (speriamo ovviamente di no) causare non poche difficoltà di gestione dell'ordine pubblico, la società ha ottenuto il placet, nonostante l'ultima opposizione del Presidente del Coni Giovanni Malagò, il cui primo pensiero è andato ovviamente alla regolarità del campionato. 

LA MORALE - Già, in un mondo del Calcio oramai comandato da poteri misteriosi e pay-tv che gestiscono e decidono a tavolino quando e perché si gioca, il presidente del Coni ha pensato all'evidente irregolarità che ci sarebbe stata qualora il Napoli e le due romane avessero giocato in orari discordanti (figurarsi due giorni). "E' una scelta che mina credibilità e valutazioni. Quando ci sono delle eccezioni come questa l'opinione pubblica non la prende bene. E' grave che solo il derby di Roma non possa essere giocato la sera alle 20.45, avremmo risolto ogni problema. Siamo impotenti di fronte a questa situazione. Capisco le rimostranze di De Laurentiis e di conseguenza quelle di Agnelli, con cui ho già parlato". 

Ciò che continua a stupire, ancora una volta e per l'ennesima volta, è la pochezza degli organi federali (Figc in testa), che non solo hanno spalmato inizialmente le ultime due giornate nell'arco di 48 ore (dal sabato pomeriggio alla domenica sera) quando nel resto d'Europa (vedi Liga Spagnola) si gioca in contemporanea in barba a Tv ed esigenze del dio denaro, ma anche continuato a spostare gare a proprio piacimento ad una settimana dagli eventi in questione. 

L'ennesima testimonianza di un Calcio che continua a mettere a nudo le proprie debolezze e le continue incertezze, guidate da poteri che si manifestano soltanto in caso di necessità personale. Forse, come già detto, si stava meglio quando si stava peggio, quando la domenica pomeriggio, alle 14.30 o 15, ci si stringeva attorno alle radio o si popolavano gli stadi e si assisteva allo sviluppo della giornata calcistica che si giocava all'unisono, sempre e comunque. Quelli, forse, eran giorni

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