La Sampdoria versa in condizioni di classifica e di gioco davvero critiche, e il compito di risollevarne le sorti non sarà facile per nessuno. Forse, però, per Sinisa Mihajlovic, nominato oggi ufficialmente nuovo tecnico dei doriani, sarà meno difficile che per altri; basta scorrere la sua storia personale per capire che nella vita ha dovuto affrontare problemi ben più drammatici di una partita di calcio.

GLI INIZI - Mihajlovic, classe 1969, nasce a Vukovar da padre serbo e madre croata. Si fa le ossa in un piccolo club, la Vojvodina, alla fine degli anni Ottanta; poi, nel dicembre del 1990, arriva la chiamata della Stella Rossa, la squadra più blasonata dell'allora Jugoslavia, ed è proprio qui che la sua carriera decolla. Mihajlovic gioca come centrocampista offensivo in uno squadrone che annovera campioni del calibro di Savicevic, Jugovic, Prosinecki e Pancev, e già il primo anno conquista una fantastica doppietta campionato-Coppa dei Campioni (suo uno dei rigori decisivi nella finale contro il Marsiglia).

La stagione seguente inizia ancora meglio; la Stella Rossa vince la Coppa Intercontinentale contro i cileni del Colo-Colo, e le punizioni di Sinisa cominciano ad essere sempre più temute dagli avversari. Il Dipartimento di Fisica dell'Università di Belgrado confermò che i suoi tiri dalla distanza raggiungevano una velocità di 165 km/h poichè calciati in modo particolare, sfidando quasi le leggi della balistica.

LA GUERRA - I primi anni Novanta sono però drammatici per Mihajlovic: nella Penisola Balcanica esplode il conflitto etnico tra serbi e croati. Sinisa è sempre stato esaustivo nel raccontare la sua esperienza: ''Nel 1991 a Vukovar c'era la caccia al serbo, perchè i croati erano in maggioranza. Il mio migliore amico, che era croato, distrusse la casa dei miei genitori, dopo che loro scapparono. Quando i miei andarono a Belgrado, mia madre disse a mio zio di mettersi in salvo e di raggiungerli, e lui le rispose: perchè hai portato in salvo quel maiale di tuo marito? Dovevi lasciarlo a Vukovar, così lo scannavamo'', raccontò in un'intervista di pochi anni fa.

Mihajlovic non ha mai fatto mistero di sentirsi serbo, anche quando ci fu la polemica sulla sua amicizia con Zeljko 'Arkan' Raznatovic, capo degli ultras della Stella Rossa che guidò la carneficina delle 'Tigri' serbe contro croati e musulmani durante quella maledetta guerra: ''Amo mia mamma, ma io sono serbo. Per quanto riguarda Arkan, era un mio amico, e io gli amici non li rinnego''. Sullo stesso tono il commento sul generale Ratko Mladic, imputato al Tribunale Internazionale dell'Aia per crimini di guerra: ''Lo rispetto perchè è un guerriero che combatte per il suo popolo''.

IN ITALIA - Nel 1992, dunque, Mihajlovic prosegue la sua carriera in Italia, venendo acquistato dalla Roma. Nella prima stagione capitolina, il tecnico Boskov (ex doriano) lo impiega come laterale difensivo, mentre l'anno successivo Carletto Mazzone lo schiera a centrocampo, come mediano. Nel 1994 l'allenatore blucerchiato Eriksson lo vuole alla Samp: si apre una delle pagine più significative della sua vita, sia personalmente che calcisticamente.

A Genova infatti conosce Roberto Mancini, con il quale stringe un'amicizia fraterna, consolidatasi negli anni alla Lazio e all'Inter; in campo, Eriksson ne intuisce le potenzialità da difensore, e lo piazza stabilmente al centro della sua retroguardia, facendolo diventare uno dei migliori nel ruolo. Nel 1998 è sempre Eriksson che lo vuole alla Lazio, ed è qui che Mihajlovic ricomincia a conquistare trofei: in sei anni vince praticamente tutto, ad eccezione della Champions. Termina la carriera da calciatore nel 2006, dopo due anni all'Inter e 28 reti complessive realizzate su punizione diretta, che tuttora costituiscono un record per gli almanacchi.

E ora, Mihajlovic si appresta a dedicarsi all'ennesima prova di una vita che certamente gli ha dato tanto, ma che non gli ha regalato nulla. In fondo, come allenatore non è ancora riuscito ad affermarsi definitivamente; esperienze positive (come quella di Catania) si sono alternate ad altre meno edificanti (quelle di Bologna e Firenze). Quel che è sicuro è che, comunque vada sulla panchina della Samp, per Mihajlovic non sarà la fine del mondo; quella, lui, l'ha già vista in Serbia.