Ruggeri risanò i conti di una società dalle fondamenta precarie, rilanciò l'Atalanta in A insieme a giovani promesse (Inzaghi, Vieri, Doni) e salvezze raggiunte senza fatica (appena 5 anni in B, nella sua gestione). Lasciò la Dea in mano a Del Neri, prima di assentarsi per sempre, e il baffo friulano ricambiò con due stagioni strepitose. Ruggeri ebbe anche il tempo di festeggiare il centenario dell'Atalanta, nel 2007, scrivendo per l'occasione parole indelebili: "I nostri cento anni, diciamolo sottovoce, sono un successo. Siamo un piccolo Davide in mezzo a tanti Golia. Abbiamo raccolto. Saremo provincialotti, fuori del tempo. Ma siamo le formichine di cento anni fa".
Lottò aspramente contro il mondo ultras, contro il mondo violento di un calcio che egli desiderava più pacato. La goccia che fece traboccare il vaso cadde nel novembre 2007, quando Atalanta-Milan fu preceduta da incidenti e quando i tifosi della curva Nord frantumarono il vetro alle spalle della porta, credendo opportuno interrompere la partita per la morte di Gabriele Sandri, il laziale ucciso in mattinata in autogrill da un poliziotto. Bergamo fu tappezzata da cartelli con la scritta "Ruggeri vattene", le contestazioni già forti negli anni anni precedenti si fecero più assordanti.
"Bergamo non mi ha mai amato. Forse quando non ci sarò più la gente capirà quanto bene ho fatto all’Atalanta", disse in una delle sue ultime dichiarazioni. E' stato profetico: oggi tanta gente, a Bergamo, lo ricorda con affetto, col sorriso; si stringe accorata alla moglie Daniela, ai figli Alessandro e Francesca, riconoscendo in Ruggeri una serietà autentica, una passione genuina. Ivan voleva bene all'Atalanta, con essa ha vinto tante battaglie. Ha perso l'ultimo scontro, però, quello più importante: con la vita.