Il calcio, spesso, può raccontare la storia politica di un paese. Il calcio a volte, purtroppo, può essere la spada di Damocle che pende su un paese glorioso, bello e solare; quanto instabile, fragile, pieno di differenze sociali tra le varie regioni. Per raccontare questa storia bisogna riavvolgere il nastro ad un secolo fa.
Nel 1903 venne istituito il primo torneo spagnolo di carattere nazionale, chiamato "Copa de la coronación" in onore al compimento della maggiore età del Re Alfonso XIII divenuto monarca un anno prima. Il torneo riscosse un buon successo e venne rinominato "Copa de su majestad el Rey", abbreviato nell'attuale e comune "Copa del Rey". Il nome della coppa, però, ha dovuto subire vari cambiamenti dovuti agli stravolgimenti politici. Così, se fino al 1932 era Alfonso XIII a consegnare l'ambito trofeo nelle mani del capitano della squadra vincitrice, dal 1932 al 1936 la coppa diventa "Copa de Su Excelencia el Presidente de la República". Seconda repubblica, rivoluzione in Spagna ma un effetto che dura solo pochi anni. Dal 1936 al 1977 la coppa si chiamerà "Copa de Su Excelencia el Generalísimo", consegnata dalle mani di Francisco Franco "el caudillo" che con il colpo di stato dei colonelli del '36, ed in seguito con la vittoria della guerra civil, comanderà lo stato spagnolo secondo i principi del regime fascista. E' solo dal 1977, dopo la morte di Franco e il referendum costituzionale con il ritorno dei Borboni, che la coppa, o meglio la Spagna, riprende il suo statuto originale. "Copa de su majestad el Rey", e fino allo scorso anno la finale viene presieduta da Don Juan Carlos I.
Ecco, fino allo scorso anno. Perché nel paese meno scontato d'Europa succede che, il giorno prima che Don Andrés e compagni decidano di abdicare di fronte a sua Maestà Arjen di Olanda, Juan Carlos decide di rimandare il suo regno al figlio Felipe, diventato Felipe VI. E la Spagna esplode. Gli Spagnoli non si sentono Inglesi, sia per il clima, sia per la cultura, e la loro indigenza nei confronti della monarchia insorge. Gli Spagnoli sono cittadini, odiano definirsi sudditi. Non accettano il nuovo Re, l'opinione pubblica torna prepontemente a parlare di Repubblica, a chiedere un referendum per poter scegliere. Ma nel frattempo in Brasile la selección naufraga in mare aperto, e in Ottobre Felipe VI è il nuovo inquilino principale del Palacio de la Zarzuela. L'occasione di Felipe sarebbe quella di consegnare dalle sue mani l'ambito trofeo riservato al vincitore della coppa nazionale, teatro dei sogni il magnifico "Santiago Bernabéu" nella splendida cornice capitolina di Madrid. A corte iniziano i preparativi, se non fosse che verso metà Marzo si sanno i nomi delle due finaliste. E sono le due squadre con più coppe nazionali in bacheca, 26 titoli per il Barcellona, 23 per l'Athletic.
E qui entra in scena il destino, e come il calcio sport popolare per eccellenza possa rappresentare la goccia che potrebbe far traboccare il vaso insieme a tutto il paese. Non si può lasciare che un Re, non voluto dai più, si sieda su un palchetto d'onore in casa dell'odiato Real, dinnanzi ai nazionalisti Baschi che nel calcio hanno la loro massima espressione di nazionalismo. Nelle file dell'Athletic non puoi giocare se sei Diego Armando Maradona ma puoi giocare se sei dell'Euskera spagnolo o francese che sia. (vedere "Paises Vascos" e la storia di questo popolo autoctono che parla una lingua, l'euskadi che non ha legami con le altre di stampo latino o sassone). Non si può mettere contro la squadra dei Baschi, gli indipendentisti Catalani che proprio nel Novembre scorso si sono recati alle urne (un referendum poi ritenuto incostutizionale) al grido di "Catalunya lliure", con il Barça delle meraviglie che nell'ultimo decennio si è trasformato nella "squadra nazionale". I Catalani rivendicano la propria indipendenza, addirittura il Barça scende in campo con la seconda maglia giallo e rossa, simbolo della bandiera catalana, addirittura scende in strada Gerard Piqué a manifestare, a dire "Noi non ci sentiamo spagnoli, noi siamo catalani". Barcellona e Athletic sono da subito disposti a giocarsela nella capitale, capitale di uno stato che per un attimo perde nuovamente la sua bussola dinnanzi al calcio, ma sarebbe troppo delicato, troppo difficile organizzare misure di sicurezza imponenti per una partita di calcio.
Gli spagnoli non sono neanche italiani, per quanto vicini tanto per il clima come per la cultura, va benissimo il pallone ma non si può stoppare e rischiare un paese intero per una partita di calcio. Per quanto questa partita possa raccontare gli ultimi cent'anni di storia di un paese. Non si può. LFP, lega calcio spagnola, governo, ma sopratutto monarchia rigettano la sede di Madrid, con l'aiuto di Florentino Perez che non spenda mica i miliardi tutti gli anni per vedere i blaugrana alzare i titoli nel suo stadio. Sia Barça che Athletic vengono esortati a proporre una sede dove disputare la finale. Il Barcellona sceglie il "Mestalla" di Valencia, sede della finale della scorsa edizione (due a uno Real dopo la celebre sgaloppata di Bale); l'Athletic sorprende tutti scegliendo il "Villamarín" di Siviglia, stadio del Betis. Dall'estremo nord Basco al profondo sud Andaluso. Ma la lega rigetta entrambe le proposte, non si può rischiare di mandare due tifoserie legatissime tanto alla loro squadra quanto alla loro terra d'appartenza in giro per la Spagna come se questa fosse terra di conquista indipendentista. Così la scelta si stringe sul "Camp Nou" o la cattedrale del "San Mamés". 26 voti favorevoli a giocarsela a Barcellona, 18 per la capitale basca. Così, il prossimo Sabato 30 Maggio scenderanno in campo il Barcellona di Leo Messi, che potrà mettere il secondo tassello del sogno triplete, e l'Athletic degli undici ragazzi baschi, su tutti Iker Muniain che a colpi di magie vuole regalare un altro spazio di storia al glorioso Athletic Club. Chi vincerà la Copa del Rey? Per il momento la monarchia è salva, il primo vincitore di questa edizione è Felipe VI, con buona pace degli indipendentisti.