Il doping come motore trainante, sistema perfettamente registrato, conosciuto e approvato. Svicolare, evitando le barriere non troppo rigide della giustizia, per migliorare le prestazioni sportive, con il consenso dei vertici Iaaf. Questo quanto emerge dall'inchiesta rivelata dall'emittente tedesca Ard. Dopo l'intervista atta a svelare il doping di stato vigente in Russia, creato ad arte per favorire i campioni dell'est, come l'olimpionica Savinova, ora un'altra puntata di una fiction che col passare del tempo assume contorni sempre più oscuri. Dal 2006 al 2008 un'infinita lista di atleti, di alto lignaggio, facenti parte di potenze dell'atletica mondiale - non solo Russia quindi, ma anche Marocco, Kenia, Gran Bretagna - immersi nella macchina del doping e, soprattutto, protetti.
A rivelarlo un membro, attuale o del passato, della Federazione medica della Iaaf. 150 atleti non trovati positivi, ma di certo sospesi sul filo dell'incertezza, con valori preoccupanti. Quattro gli azzurri coinvolti, due maratoneti, già colpiti da sentenze doping, due atleti invece non ancora assorbiti dal vortice della squalifica.
La Iaaf tenta una difesa d'impatto. Negli anni dell'accusa non vigeva il sistema del passaporto biologico, i controlli sul sangue non avevano l'odierna valenza, c'era insomma un diverso approccio alla materia. La sensazione è però che un sistema di omertà, accondiscendenza, sia vigente da parecchi anni, che non abbia chiuso i battenti nel 2008, ma che sia proseguito fino ad oggi. La rivelazione giunta prorompente a occupare stampa e quotidiani è quindi solo l'antipasto di un'analisi più profonda e più acuta.
In questo contesto si innalza anche la voce di Sebastian Coe, candidato alla Presidenza Iaaf. Creare un organismo indipendente per la lotta al doping. Questa la richiesta, questo l'estremo tentativo per rendere credibile oltre ogni ragionevole dubbio l'atletica.
Fonte Gazzetta dello Sport