La Roma sbatte sull'Atletico. Anzi, l'Atletico sbatte sulla Roma. In questo dibattito si riassume la prima notte europea della Roma in Champions. Una notte sofferente, ma indenne. Una notte di passione ma anche di buone impressioni. Una notte di piccole, silenziose, ma importanti innovazioni tattiche, che mostrano al popolo giallorosso una duttilità (per il momento solo accennata, ma netta) sul piano tattico di questa squadra. Che regge, e in alcuni momenti impaurisce anche, lo squadrano spagnolo guidato da Simeone, il temutissimo Atletico Madrid, mostrando caparbietà e resilienza. Sapendo soffrire, venendo in parte aiutata dal fato, ma non soccombendo alla corazzata castigliana.
Con ordine. La fresca serata romana si apre con una cornice invidiabile di pubblico e entusiasmo, nonostante i prezzi d'accesso allo Stadio Olimpico abbiano spinto più di qualche tifoso a rinunciare all'esordio giallorosso nella competizione dopo oltre un anno di purgatorio. Cori, cuori e colori sono protesi invece al sostegno capitolino, per spingere gli 11 uomini selezionati da Di Francesco verso la prima delle finali previste in questo ferreo girone (ve ne saranno almeno altre 3, Qarabag escluso). E la Roma questo fa, vive il match con l'attenzione che merita, sapendo di contare su poca esperienza internazionale (sia in paragone a quella ben più consolidata dell'Atletico, sia in termini effettivi perché gli uomini in campo di esperienza in Champions ne hanno davvero poca) e un gioco ancora incastrato tra dogmatismi, scetticismi e grandi disparità tattiche: alla dirompente forza tecnica e di posizione che può offrire la rosa con, ad esempio, Perotti e Nainggolan, corrisponde una costante preoccupazione in gestione di veri e propri casi, come il tremendo Bruno Peres (che ieri, stentando nel primo tempo, ha però saputo fornire una prestazione sufficiente, a conti fatti) o il caotico (ma volitivo, per carità) Strootman, che all'impegno non fa seguire una precisione di copertura. Incerto, diffidente, in definitiva stanco, anche capitan De Rossi, che dopo una mezz'ora di gara rischia troppo nei passaggi, non dosandone forza e direzione, a riprova dell'importanza di ruotare gli uomini in mezzo, che si mostrerà sempre più evidente nel corso della stagione. Uomini che ci sono, a cominciare da un Gonalons ancora in panchina, ma da tenere in futura considerazione.
Questo il primo tempo giallorosso, se si esclude la stretta al cuore per due macro-occasioni spagnole, salvate da un palo esterno e dal provvidenziale Manolas; e poi la grande recriminazione romanista, per un rigore, evidente, non fischiato da Mazic, evidentemente intento in altre osservazioni in quel momento. Nulla di più, nulla di meno, con un sostanziale equilibrio. Lo scenario, per giunta, non cambia nemmeno nella ripresa, almeno per metà tempo, quando effettivamente l'Atletico alza i giri motore, costringendo la Roma ad arretrare, e di molto, il raggio d'azione: Nainggolan, Kolarov e Peres non riescono più a far salire la squadra, Dzeko non riceve i palloni giusti e non può realizzare sponde per Perotti, che allora si impunta in solitaria, creando si scompiglio in area avversaria, ma senza mandare in crisi la solidità dei Colchoneros. E così va avanti la gara, tra altre importanti occasioni dell'Atletico (una, proprio sul fischio finale di gara, clamorosa), i miracoli di Allison, e qualche sortita, sempre più timida, della Roma.
Che si accontenta, con garbo, di un pari casalingo a giochi fatti buono, prezioso, giusto.