E' un risveglio amaro come pochi, quello che accompagna Luciano Spalletti e i suoi giocatori dopo la vittoria nel derby di coppa. E' un risveglio dal sapore bugiardo, con un tocco di speranza che annebbia la vista e la cruda realtà che distrugge ogni attesa. Se si provasse a fare un bilancio della stagione corrente, in casa giallorossa, probabilmente ci sarebbero sorprese. La Roma ha dimostrato molto più di quanto affermano i risultati, nonostante sia innegabile la particolare propensione a fallire gli appuntamenti cruciali. Nel momento decisivo, quando le forze andrebbero moltiplicate, i capitolini si sciolgono, dimostrando fragilità e inesperienza. In realtà, a ben vedere, questi aspetti sono comuni a molte squadre di vertice del nostro campionato. Il Napoli lo ha dimostrato lo scorso anno, quando sembrava ben avviato verso la vittoria dello scudetto e invece ha subito il ritorno dirompente della Juventus di Allegri. L'Inter lo dimostra quasi ogni domenica, creando aspettative illusorie per poi ritirarsi prontamente nell'inettitudine cronica. E se il dominio juventino avesse contribuito a creare un senso di imponenza e fragilità, nelle dirette concorrenti, capace di ripercuotersi in tutti gli ambienti competitivi?

Il Napoli batte la Roma, ma non riesce a raggiungerla mancando il salto di qualità, l'Inter non batte nessuna delle due ma spera in una rincorsa folle senza margini di riuscita. La Lazio e il Milan sono da anni ormai squadre ambigue, capaci di alternare momenti esaltanti a periodi critici, il tutto a seconda dei diversi cicli lunari. A questo punto, la domanda sorge spontanea: come si affronta questo senso di impotenza esasperata di fronte agli appuntamenti che contano?

Spalletti, dopo aver curato nell'arco di un anno i progressi caratteriali e tecnici della sua rosa, ha optato per una gestione diversa della situazione. Spesso fa comodo appellarsi alla sfortuna, altre volte è necessario dire le cose come stanno. Il tecnico di Certaldo aveva provato a caricare di responsabilità i suoi giocatori, mettendo il proprio (e il loro) futuro nelle loro stesse mani! Il giochetto, tuttavia, ha avuto effetti positivi solo parziali, poiché la squadra è ricaduta per l'ennesima volta nel baratro di Lione, Porto ecc. dimostrando inesperienza, inadeguatezza e perfino incapacità. L'incapacità di scrollarsi di dosso l'etichetta di eterni secondi, perché è inutile far finta di considerare il secondo posto come lo 'scudetto dei mortali'. Un secondo posto rimarrà sempre un secondo posto, da qualsiasi angolazione o prospettiva. E allora quello di Spalletti ci sembra quasi l'ultimo disperato tentativo di un uomo (o un condottiero, se preferite) che aveva sperato di plasmare la sua armata perfetta, e ci stava quasi riuscendo, fino a quando i fantasmi dei fallimenti passati non lo hanno avvolto nell'ennesima ricaduta. 

Luciano Spalletti è rimasto solo, o meglio, si è sentito solo. No, non è un eufemismo, tanto meno un'esagerazione. Il tecnico giallorosso, negli ultimi mesi, ha abbracciato l'amara condizione umana che lo costringe ad abbassare la testa, di fronte a quello che probabilmente è un ostacolo troppo grande per lui e per chiunque altro, perché un allenatore come Spalletti non lo si trova tutti i giorni uscendo di casa. 

Eclettico, passionale, maniacale. Il tecnico di Certaldo è un tripudio di emozioni e pragmatismi, che ne fanno uno dei maggiori esponenti della scuola italiana. Tenendo conto di ciò, se lui ha fallito, per di più riuscendo a dare maggior importanza al percorso di crescita della sua squadra piuttosto che ai risultati, l'impotenza cronica appare quasi un male incurabile. Incurabile perché subdolo, incurabile perché meschino e capace di mimetizzarsi nei momenti di furore ed estasi apparente.  Ma Spalletti aveva quasi trovato la cura, provando a prendere di petto la situazione di un ambiente indecifrabile come quello romano. Ma se Spalletti poteva affermare di aver quasi trovato la cura, le circostanze gli si sono ritorte contro, facendolo apparire come un isterico sognatore che farneticava di rompere il famoso incantesimo.

Il suo futuro non è mai stato il reale fulcro della questione. Luciano Spalletti aveva provato a scuotere i nervi profondi dei suoi 'adepti', cercando di spingerli verso il logoramento fisico e mentale, per risvegliarne le potenzialità sopite sotto la coltre di impotenza. Il possesso di una mentalità vincente è qualcosa di astratto, il processo per acquisirne i tratti è tutt'altro che privo di consistenza. Questo percorso passa dalle sconfitte, dai dolori, dalle lacrime, dal senso di appartenenza ad una causa che sembra non ripagare mai. E se Roma, i romani e i romanisti, potranno un giorno dire di essere finalmente pronti per vincere, allora si potrà brindare. Si brinderà in onore di un uomo, un uomo solo, che non ha avuto paura di mettere il proprio futuro nelle mani di chi lo avrebbe (involontariamente) pugnalato alle spalle.