Una mazzata. Il pomeriggio dei pomeriggi che si trasforma rapidamente nella peggiore delle giornate di fine inverno, cupe, buie, piene di nubi addensate che all'orizzonte lasciano presagire l'ennesimo anno lasciato scappare, lasciato andare. Così, quasi senza reazione. Con la terza sconfitta (una indolore) nelle ultime quattro, la Roma saluta ogni discorso legato allo scudetto e riapre tutto per la corsa europea al secondo posto. Un disastro consumato in 180' tra il derby e il Napoli di Sarri, ieri perfetto tatticamente. Perfetto il Napoli, pessima su ogni piano, dal fisico (veramente indietro) al mentale (a conferma delle già testimoniate perdite di personalità) la Roma. E pessima anche sul profilo tattico, con Sarri che per tutto il match ha mangiato il suo collega certaldino, dominando ogni spazio in campo e dando impressioni generali di superiorità su tutti i fronti. Si aggiunge anche una maggiore presenza di tecnica, tutta a favore del pimpante e rabbioso Napoli, che nella ripresa ha saputo gestire alla perfezione il campo scivoloso e gli scambi in profondità.
La lezione di Sarri a Spalletti è però in primo luogo lezione degli 11 in campo napoletani agli spenti rivali capitolini, premessa ad evitare di addossare solo al toscano romanista le colpe della Caporetto vista ieri. Non un uomo ha espresso vitalità sulle già poche idee tattiche che Spalletti ha infuso nei novanta minuti ai suoi. Nulla di concreto, nulla di realizzato. L'acuto finale, frutto di un casuale gol di Strootman, fa durare i colori giallorossi esattamente 6 minuti, una nullità rispetto alla prestanza azzurra per gli altri 89 di gara.
Ottantanove giri di lancette giocati ai minimi storici dalla Roma, che parte bassa vista la "mancanza" di esterni, che prosegue peggio con Salah e Dzeko introvabili, e che finisce peggio complice una difesa sotto scacco, imbambolata e guidata da Fazio-De Rossi abbondantemente insufficienti. L'incubo di tutti si tramuta in verità, la Roma abbandona le sue corse in questo marzo pazzo, caldo, poi freddo. Di gloria, poi di gelo. Resta l'Europa, quell'amara sensazione di incompiutezza. Perenne.