Oggi alle ore 14 si svolgerà l’udienza del Tribunale Federale Nazionale in merito ad un presunto illecito sportivo, riguardo a due partite del campionato di Serie B 2013-14 – Modena-Avellino e Avellino-Reggina – che coinvolge alcuni ex calciatori dell’Avellino; tra questi c’è anche un giocatore che attualmente milita in Serie A, al Genoa, e si chiama Armando Izzo.

Il rischio per il difensore è una squalifica, qualora venisse provata la colpevolezza, che andrebbe da 6 mesi a 3 anni: “Sapete come mi chiamano nelle intercettazioni questi signori? L’ignorante. Dicono: “Oh, l’ignorante non deve sapere nulla perché Avellino-Reggina la fanno i senatori”. Questo perché nel 2014 ero un novellino in uno spogliatoio con gente come Castaldo, Biancolino, Millesi. Ma non è questo il punto: hanno ragione, sono ignorante. Non mi vergogno”.

Esordisce così Izzo, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, in cui spiega le sue ragioni sulla vicenda. L’infanzia è stata molto difficile: “Sono cresciuto a Scampia: papà lavorava anche 18 ore al giorno per garantirci una vita quasi normale. Poi una leucemia fulminante lo ha stroncato in due mesi. Aveva 29 anni, mia mamma 27 e io quasi 10. Sul letto di morte teneva stretto i miei 3 fratelli, tutti più piccoli. Stavo sulla porta, cercavo di non piangere. Da lontano mi ha fatto un cenno con la mano: diventavo il capofamiglia, altro che studiare. E infatti sbaglio i congiuntivi. Comunque, senza lo stipendio di papà siamo precipitati in miseria. Per mesi la mia cena è stata latte e pane duro. Saremmo finiti in braccio alla camorra, sempre in cerca di manovalanza, senza due miracoli”. 

Poi la mamma ha cominciato a lavorare ed Armando ha intrapreso il percorso da calciatore: “Mia madre prese a fare le pulizie nelle case: le davano 6 euro l’ora. E non si fermava mai. Io col pallone ci sapevo fare: a 14 anni dalla squadra di Scampia passai al Napoli. Mamma diceva: “Ho sognato papà, aveva ali grandi. Dice di stare tranquilli: diventi calciatore”. Dopodiché è iniziato l’incubo, che però presenta diversi punti di domanda sull’effettivo coinvolgimento di Izzo: “Spiega al magistrato che sono uno di loro per via di uno zio affiliato. Beh, quello è un parente acquisito: non ho rapporti con lui da quando ero ragazzino. C’è di più. Secondo questo boss sarebbero venuti a Trieste per farmi alterare una gara, ma siccome contavo zero allora è saltato tutto. Ho chiesto al mio avvocato: non c’è nessuna traccia del presunto viaggio. Solo parole. Ma questa dichiarazione è un autogol. Perché io a gennaio 2012 passo all’Avellino. Sarei uno del clan, giusto? E invece nessuno mi cerca. Vengono a Trieste, ma quando sono a un tiro di schioppo da Napoli, niente. E mica per qualche mese: passano oltre due anni prima di arrivare ai due presunti illeciti”.

Anche le modalità della pianificazione della combine sono discutibili: “Le sembra credibile che un boss punti 400 mila euro per vincerne 45 mila? E Millesi accetta di restituire i 400 mila se le cose vanno male? Una scommessa sul Modena che doveva fare un gol con qualunque risultato. E quella gara io non l’ho giocata. Mi ero fatto male in settimana e durante il riscaldamento era tornato il dolore. Finisco in panchina. Ora mi segua: il boss vede la gara da un centro scommesse, si è fatto prestare il telefono da Pini. Primo tempo 0-0. Preoccupato manda messaggi a Millesi per risolvere il problema. Millesi, in panchina come me, incrocia Peccarisi che ritorna dagli spogliatoi e lo convince per 15 mila euro a far segnare il Modena. Le immagini Sky testimoniano tutto questo”.

Armando Izzo seguirà in prima persona il processo, a Roma: “C’è in ballo la mia vita e quella della mia famiglia. Ho due bimbe piccole. Il c.t. Ventura mi ha preso da parte durante l’ultimo stage: “Armando se non stai sereno poi si vede in campo. Per noi sei importante: siamo convinti che ne uscirai pulito”. Sono state belle quelle parole, ma starò sereno quando i giudici diranno che non ho fatto nulla. Così tornerò a essere un ignorante onesto. Certo, mio padre lo sa già”.