Qualcosa non ha girato. La testa o le gambe, o entrambe le cose. In un derby dallo strano sapore fin dai primi minuti di gioco, la Roma sbatte sul preciso lavoro laziale, umile e molto attento negli schemi difensivi. Non girano i ritmi di gioco della banda Spalletti, apparsa priva del potenziale offensivo delle ultime gare. Anche il toscano perde colpi e pur provandole tutte non ingrana la sua spettacolare marcia, quella delle precise ripartenze in velocità. Il terminale d'attacco, Dzeko, si è nascosto troppe volte, marcato benissimo dai possenti Bastos e Wallace, che, chiamati al riscatto, hanno risposto con personalità.
Due-tre sono i momenti del match, che hanno messo benzina in corpo agli 11 biancocelesti e scaricato le batterie della squadra giallorossa.
Tutto il pre gara, con gli immancabili numeri e statistiche tutte favorevoli ai giallorossi, soprattutto negli ultimi anni. Anche se l'ultimo precedente di Coppa aveva detto Lazio, gli impietosi score degli ultimi derby lasciavano campo aperto alla Roma. E poi il tasso tecnico, notevolmente differente reparto per reparto, ma tutto da testare. Il pre gara laziale aveva dunque sviluppato un atteggiamento dimesso di giocatori e tifo, che rispetto all'andata di campionato avevano assunto un'immagine completamente diversa. E qui si gioca il primo duello: preparare bene la gara o sentirsi in qualche modo vincitori del confronto? Sicuramente Spalletti non avrà infuso nei suoi quest'ultima idea, ma è certo, a rivedere la prima mezz'ora di gara, quella condita da una-due occasioni a testa e poi l'inserimento preciso di Milinkovic per l'1-0, la Roma sembra proprio incarnare quella sicurezza sul risultato finale che tanto male ha fatto anche in altre occasioni. Anche l'evidente strana sensazione dopo il vantaggio avversario è frutto della stessa condizione mentale, tant'è che la Roma non reagisce mai. Anche dopo l'intervallo.
I quindici minuti nello spogliatoio, è qui l'altro blocco di analisi. Per Simone Inzaghi e i suoi c'è solo questa gara da bloccare, senza pensare ad altro. Il ritmo deve restare lo stesso e la mentalità uguale. La Roma ha due obblighi: quello di vincere qui, agendo con scaltrezza, rimontando e poi risparmiando fiato, e poi di pensare subito alle altre due competizioni. Una montagna, a vederla da fuori, eppure ancora col rischio di essere sottovalutata. La Roma esce dal tunnel senza cambare d'abito, stranamente. E subisce ancora. Senza essere schiacciata perché subentrano ancora le differenze assolute nei valori. Ma subisce. I biancocelesti adottano uno spartito il più possibile simile a quello iniziale e conducono l'andamento generale della sinfonia. Con poche emozioni e pochissimi acuti la gara viene trascinata fino al fischio finale. Ma qui si gioca il terzo momento.
L'ultimo quarto d'ora giocato non considerando la "bontà" di un 1-0 fuori casa. I giallorossi non incidono davanti ma per attaccare sterilmente devono giocoforza scoprirsi mostrando il fianco ai cugini, che- stanchi ma cinici - concludono un'altra ripartenza con un gol. Quel tuffo di Immobile sotto la sua curva che avvicina i colori biancocelesti all'atto finale del 2 giugno. In mezzo, però, novanta, infernali minuti in cui tutto è vivo, tutto da giocare. L'atto primo, senza appelli, va a chi nei tre momenti di gara ha messo testa e gambe.