Da Garcia a Spalletti, passando per Francesco Totti. Tempo di bilanci per James Pallotta, che con l'avvicinarsi del Capodanno ha analizzato ai microfoni del sito ufficiale della Roma il 2016 della società e della squadra capitolina. Inevitabile non tornare sull'esonero di Rudi Garcia, sull'avvicendamento con Spalletti e sul rinnovo di Francesco Totti. Tre istantanee che hanno, tra le altre cose, caratterizzato l'anno che sta per chiudersi. 

“È stata una decisione relativamente facile da prendere, considerata la serie di partite senza vittorie e l’ottima squadra che avevamo a disposizione, sebbene molte persone pensassero che avremmo dovuto aspettare la fine dell’anno. Credo che la squadra stesse subendo un rapido calo dal punto di vista psicologico. Se non avessimo fatto nulla, non saremmo mai potuti arrivare tra le prime cinque, figuriamoci qualificarci per la Champions League al termine della stagione. Non ero soddisfatto di come andavano le cose in termini di prestazioni durante gli allenamenti. A dicembre, quando i giocatori ti confessano che non riescono a entrare in forma, qualcosa deve pur voler dire".

Una situazione difficilmente sostenibile, che il presidente aveva già riconosciuto da tempo. A posteriori, la critica nei confronti della sua scelta tardiva: "Credo che avrei dovuto farlo prima. Già la stagione precedente avevo notato alcuni segnali. Le cose stavano cambiando dal primo al secondo anno e ce n’erano ancora due, quindi non era così semplice. Provi a far arrivare persone che credi possano essere d’aiuto, ma c’è stata l’incapacità di accettare ogni tipo di aiuto. Io credo che la squadra debba lavorare insieme e che ci debba essere collaborazione a tutti i livelli ma si stava andando verso il io lavoro così e basta. Non c’era la volontà nemmeno di ascoltare alcune delle persone che erano lì per dare una mano. Noi non vogliamo rappresentare questo tipo di organizzazione".

Dal passato al presente, con la scelta di Spalletti dettata da pareri di consiglieri esterni e da un colloquio, a Miami, che ha stregato il presidente della Roma: "È stata la passione, il modo in cui parlava di strategia, di tattica, e di come allenava i giocatori a colpirmi più di ogni altra cosa. Durante gli allenamenti, prima, non si parlava praticamente mai di strategia e tattica. Magari in altri paesi non è poi così importante ma in Italia. Ho parlato molto con persone che conosco e rispetto: ex allenatori e professionisti attualmente impegnati che sarebbero venuti volentieri a Roma, ma dopo aver parlato con Luciano, e averlo incontrato a Miami, ho capito che era lui la persona che stavamo cercando".

Il profilo giusto per la nuova Roma statunitense, che ambisce a confermare il ruolo di contender anche nei prossimi anni: "Aveva già vissuto un’esperienza a Roma e fortunatamente è molto preparato dal punto di vista tattico, strategico e psicologico. Dopo la gara con la Juventus, difficile da affrontare visto il poco tempo a disposizione, ci sono state 17 partite senza sconfitte, davvero notevole. Questo ci ha consentito di tornare in corsa. Credo che salutare Garcia fosse una decisione più semplice di quanto si possa pensare perché avevo visto in che direzione stava andando la squadra”.

Inoltre, il patron americano chiude con una battuta sul contratto di Totti e sull'impatto che, nonostante l'età, continua ad avere in campo: “Ha dimostrato che può avere ancora un ruolo importante e quelle partite sono state fondamentali per la qualificazione in Champions League. Il contratto? Non direi che il nuovo contratto sia stato un premio per le sue prestazioni, non è stato una ricompensa, semplicemente Francesco pensava di poter continuare a giocare e noi credevamo che potesse dare ancora il suo contributo. Nel corso dell’anno avevamo già parlato più volte del fatto che alla fine della stagione avremmo discusso della situazione basandoci su come si sentiva lui. Mentre molte persone, anche nei media, hanno continuato a chiedersi per tutto l’anno perché non avessimo fatto questo o quello, per me si trattava semplicemente di questioni che riguardavano soltanto noi. Era una cosa tra Francesco e me e, come squadra, non potevamo permettere che i nostri affari diventassero una discussione pubblica".