Facciamo un passo indietro. Lunedì 23 Novembre, vigilia della partita in casa del Barcellona. Ore 18.30, Rudi Garcia tiene la sua solita conferenza stampa pre-match. Effettivamente è lo stereotipo della conferenza stampa tipo del francese. Pretattica dosata al centilitro, rispetto forzato per i suoi avversari e petto in fuori a sfidare gli invincibili. “Invincibili non credo, ogni tanto perdono anche loro. Non esistono squadre invincibili. È il bello del calcio, la squdra meno forte in campo può anche vincere. Serve voglia ma anche fortuna. Domani dovremo essere perfetti”.
Ricordo la prima pagina di un quotidiano distribuito fuori l'Olimpico prima della partita dello scorso ottobre contro il Bayern Monaco. Il titolo, a caratteri cubitali, riportava sempre le parole del buon Rudi. Guarda un po', erano il fac-simile di quelle affermate l'altro ieri. “Garcia non ha paura, sfiderà a viso aperto la corazzata tedesca” riportava il giornale. Il povero Daniele De Rossi è stato testimone di entrambi i teatrini messi in piedi dal tecnico ex Lille. Risultato? Molto simile. 1-7 dai teutonici, 6-1 dai catalani. Goleade e lezioni di calcio impartite da due grandissime del calcio europeo, ma ad una squadra che evidentemente ha ancora bisogno di ripetizioni. Già, perchè la Roma è attualmente la peggior difesa d'Europa, avendo subito ben 16 gol in sole 5 partite. Tralasciando la folle doppia sfida col Leverkusen, i risultati non sono certo stati soddisfacenti; ma i tifosi giallorossi sono obbligati a guardare il bicchiere mezzo pieno, proiettandosi alla sfida decisiva contro i bielorussi del BATE.
Tuttavia, la sonora sconfitta rimediata al Nou Camp deve far riflettere. Non è stata una semplice quanto colossale disfatta. Sarebbe troppo semplice affermare che dopo un'imbarcata del genere non esistono parole. Di fatto l'analisi di Maicon racchiude in spiccioli l'essenza di ciò che è stato. Non preoccupa la straordinaria facilità con cui i blaugrana andavano al tiro, nè tantomeno la differenza abissale sul possesso palla (71% a 29%). La Roma scesa in campo contro la banda di Luis Enrique è stata passiva, inerme, abbandonata a se stessa ed incapace di abbozzare una qualsiasi reazione d'orgoglio. Vedere giocatori del calibro di Pjanic e Nainggolan, che nel nostro campionato fanno sfaceli, venire scherniti in quel modo fa veramente impressione. Eppure, il dato preoccupante non è neppure quello tecnico. Benchè meno quello tattico. La differenza tra le due squadre scese in campo si nota in due episodi fondamentali, simmetrici per entrambe le formazioni: minuto 76, l'arbitro çakir decreta il penalty in favore del Barça per un fallo ingenuo del turco Uçan su Neymar. Il brasiliano va sul dischetto, prende una rincorsa brevissima, esplicitamente provocatoria, ma si fa parare il rigore da Sczesny. La palla rimane lì, difesa che si appresta a spazzare e sospiro di sollievo per i giallorossi, che vedevano i fantasmi del Bayern da tutte le parti. Ah no, sul pallone arriva qualcun altro prima di Manolas e compagni. Arriva un certo Adriano Correia. Professione terzino sinistro, fatto entrare da Luis Enrique per dar fiato all'ottimo Sergi Roberto. Un momento, lui fa il terzino ma viene schierato mezz'ala. Sul 5-0, dopo che Neymar ha appena sbagliato il rigore più inutile della sua carriera, lui si avventa sul pallone affamato come non mai e scaraventa la sfera sotto l'incrocio. Portiere impietrito e stadio in piedi per l'ennesima volta. Fa strano vedere un ragazzo di ormai trent'anni (da 2 o 3 è un elemento marginale della rosa) in cerca di rivincita in una situazione del genere. Forse c'è qualcosa che va oltre quello che pensava Rudi Garcia. Ma andiamo con ordine.
Minuto 82'. Ribaltamento di fronte e rigore per i giallorossi (fallo sciocco di Vermaelen su Dzeko). L'attaccante bosniaco si presenta sul dischetto per dare una parvenza di dignità alla partita che stava giocando. Prende la rincorsa, apre il piattone ma trova Ter Stegen a dirgli di no. Questa volta non c'è l'Adriano di turno che la butta dentro. Stavolta non c'è nessuno e la Roma è costretta ad alzare bandiera bianca contro una squadra oggettivamente più forte, ma non crudelmente più forte. Ma non voglio soffermarmi troppo su questo concetto, poichè l'azione che ha racchiuso più di tutti l'essenza di questa partita avviene al minuto 64. Iturbe, peraltro il più frizzante dei suoi, recupera palla e punta in contropiede la difesa di casa. Sembra imprendibile e appare lanciato a tu per tu con il portiere azulgrana. Il tempo di una finta di corpo per mandare al bar Bartra ed ecco che, incredibilmente, viene rimontato e messo giù. C'è qualcuno che ha seguito la sua azione dal principio e gli è rimasto addosso per circa settanta metri. È il solito Adriano? Macchè. È il piccoletto, è la Pulga, è Messi. Messi?! Si,Messi. Leo è appena rientrato dall'infortunio e sul 5-0 (5-0!) si getta alla rincorsa del suo connazionale. Risultato? Fallo, ammonizione e punizione dal limite. Ma la porta dei suoi rimane inviolata. Però! Che carattere questi spagnoli. Hanno un centravanti (anche se è un termine un po' riduttivo per il piccoletto con la diez) che torna a farsi il "culo" nonostante sia sopra di cinque gol a venti dalla fine. Al contrario, il povero Dzeko non ha visto neanche l'ombra di un pallone (eccezzion fatta per il colpo di testa allo scadere), non interessandosi minimamente di quel che accadeva al di qua della linea Maginot della metà campo capitolina. Forse la differenza sta proprio qui. Sta nelle ammonizioni prese da Pique e Dani Alves, ringhiando sui rispettivi avversari e impedendo loro di rialzare la testa. È stato un conflitto concettuale prima che una partita di calcio. I più forti del mondo hanno continuato, quasi senza pietà, ad offrire spettacolo. Ma il loro carattere e la loro determinazione non hanno mai lasciato gli oltre tremila metri quadri del rettangolo di gioco. Non è stata la rivincita di un uomo contro un popolo (ed una nazione) che lo aveva umiliato qualche anno fa. È stata una lezione di umanità e applicazione psicologica. Una lezione che va oltre il gioco del calcio in senso lato. Impari Signor Garcia, impari...