Una vita nel bel paese, a disegnare geometrie a centrocampo, con una maglia rimasta nel cuore un po' più delle altre. David Pizarro stamattina alla Gazzetta dello Sport si è raccontato, parlando anche del big match di stasera tra Roma e Inter. Lui che è un doppio ex, ma che è rimasto legato molto più ai colori giallorossi: "Il mio cuore dice Roma. E’ la squadra che più mi è rimasta nel cuore e la città dove vorrei tornare a vivere. E’ bello pensare che questa è una sfida che vale il primato. Prevedo un due a uno per i giallorossi e prevedo lo scudetto. L’Inter non mi convince. Anche ai nerazzurri sono legato. Inter per me vuol dire Facchetti e Moratti. Facchetti è stato importantissimo per la mia carriera, mi ha trattato come un figlio. E Moratti è un gran signore, un numero uno. Mi spiace che il club sia finito in mani straniere, mi spiace in generale che questo accada anche in Italia. In generale, sono legato a tutti i club in cui sono stato. Ed è fantastico vederne tre fra i primi quattro in classifica. L’Udinese ti fa crescere sotto ogni aspetto, come lavorano loro ce ne sono pochi in Europa. E sono contento per la Fiorentina, che ha dato continuità alle ambizioni".
Il ritorno in Cile, agli Wanderers, in estate, è stato ben diverso rispetto a quanto Pizarro si potesse aspettare e il pensiero di tornare nuovamente in Italia è forte nella sua mente: "In Italia potrei anche finire col viverci per sempre. Adoro soprattutto Roma e i romani, che per come intendono vita e calcio si avvicinano molto ai cileni. Purtroppo in Cile ho trovato una realtà calcistica del tutto diversa da come mi aspettavo. E’ l’intero sistema che non funziona: abbiamo vinto la Copa America, ci sono stadi nuovi meravigliosi con squadre seguite da 300 spettatori. I club si disinteressano di tutto, tanto sanno di poter andare avanti grazie ai soldi delle tv. Io sono tornato per amore del mio Paese, non per scappare dall’Italia: è stata una mazzata. La Nazionale non è riuscita a fare da spinta e le nuove generazioni sono senza talento. Ecco perché vorrei tornare in Italia. Subito, già a gennaio".
Anche l'appoggio della famiglia è importante: "Sono tutti con me. Vogliono tornare tutti, anche perché i miei figli sono nati in Italia, fra Udine e Firenze, e sono abituati a un’altra realtà. Fisicamente non ho mai avuto infortuni gravi, perché nel mio ruolo c’è meno usura rispetto agli altri, perché non ho vita notturna e perché, senza presunzione, posso garantire qualità, cosa che ormai è sempre più rara. Francamente: mi sentirei pronto anche per una big. Nel calcio ormai si preferisce l’atleticità alla tecnica. Prima bisogna correre i cento metri in 11 secondi e poi saper stoppare il pallone. In Italia è una deriva degli ultimi anni: quando arrivai, tutte le squadre avevano 2-3 giocatori coi piedi buoni, adesso li hanno solo le prime quattro o cinque, e c’è divario già con l’ottava. Si gioca a calcio sempre meno, anche perché gli allenatori ormai sono ciechi: non c’è null’altro che conti oltre al risultato".
E dunque sul futuro si schiariscono le idee: "Avrei voluto fare il Ministro dello Sport in Cile per cambiare un bel po’ di cose. Ma mi vedo di più a Coverciano". Sulle orme di due con cui ha lavorato e che Pizarro definisce tra i migliori allenatori attualmente sulla piazza: "Spalletti e Montella tirano fuori il meglio dei giocatori, anche umanamente. Con uno di loro il Milan avrebbe potuto ripartire davvero. Mi stupiscono tutte queste difficoltà per un club del genere. Avevo avuto qualche contatto anch’io, ma poi non se n’è fatto nulla, anche perché sono sempre stato extracomunitario".