"Io vado in guerra. Chi può, mi segua. Voglio uomini veri. Ci sono due possibilità: o molliamo - ma io non mollo un secondo, fino alla fine - o alziamo la testa e ci risolleviamo. Mi aspetto questo dai miei. Chi ha la personalità, il carattere, l'orgoglio di proseguire bene, chi sarà troppo debole non mi interessa. Il capo deve mostrare l'esempio. Io sono arrabbiato, ma soprattutto motivato, ora siamo soli contro tutti".
Rudi Garcia rompe gli indugi, il messaggio che trapela dalla notte romana è chiaro ed è indirizzato alla squadra, con cui per la prima volta emerge un profondo distacco. 22 minuti sanciscono la fine dell'illusione capitolina, non è questione fisica o tecnica, il gruppo è sfaldato, non c'è una linea guida riconosciuta e la scissione tra chi è al timone e chi deve eseguire gli ordini è lampante. Errori banali, da oratorio, quelli che spianano la strada a una Fiorentina bella, vivace, agevolata dalle tremebonde gambe giallorosse.
Holebas, irruento, travolge Mati Fernandez, Skorupski fa una sciocchezza da scuola calcio, Basanta, quasi stupito per tanta libertà, mette a referto il gol numero tre, quando l'alba della partita non è ancora sbiadita. Da lì inizia una nuova partita, quella tra Garcia e la squadra, tra la squadra e il pubblico. La Curva Sud, per protesta esce di scena, il cuore pulsante del tifo è vuoto, come vuota è la Roma, senza carattere.
Il rientro, più tardi, serve per far sentire la voce, chiamare a raccolta i simboli e chiedere una spiegazione. Totti e De Rossi, i senatori, con un gruppetto di compagni, a sentire il richiamo della frangia più accesa. "Vogliamo 11 Garcia", il pubblico sceglie con chi schierarsi e ora sono i calciatori ad essere isolati, di fronte a un bivio. O si torna a seguire il richiamo del tecnico o si rischia il tracollo definitivo.
Garcia non è esente da pecche, la disfatta romana, aiutata dal maldesto rapporto con la sorte - Yanga-Mbiwa e Keita, gli ultimi in infermeria - inizia quando Garcia, novello Icaro, sceglie di volare troppo in alto. La Roma si scotta e precipita e il tonfo è ancor più fragoroso. Chi si crede invincibile, si scioglie al cospetto delle prime difficoltà, quando nuovi punti interrogativi appaiono all'orizzonte.
Sabatini corre in soccorso del tecnico, perché Garcia, acclamato lo scorso anno e adorato nei primi mesi, anche per quella sua politica di avversione verso istituzioni e avversari - Juve in primis - tanta cara ai focosi sostenitori di casa Roma, non può essere l'unico colpevole, anzi. L'involuzione di alcuni giocatori è preoccupante, in tanti hanno mente e corpo lontano da Roma, alcuni sono al capolinea, altri non sono da Roma, qui emerge Sabatini, l'uomo mercato. Gennaio è il mese delle scelte sbagliate, il mea culpa, veritiero, è segno di onestà, ma non basta.
Resta il campionato, una lotta lunga, faticosa, per difendere il secondo posto. Il tesoretto, su chi insegue, è esaurito, oggi restano le macerie e dalle macerie deve risorgere la Roma, di Garcia, con Garcia. Con buona pace di chi, nello spogliatoio, rema evidentemente contro. La guerra, insieme, poi il divorzio.