La commissione antidoping norvegese prende la prima posizione decisa sul caso Johaug. Due mesi di sospensione temporanea, in attesa di maggior chiarezza sulla vicenda, di esami più approfonditi. Le parole di Anstein Gjengedal, presidente della commissione, sono pietre che minano le certezze di Johaug e insinuano tra appassionati ed addetti ai lavori il tarlo del dubbio “La ragione di questa decisione è dovuta al fatto che l’atleta non sembra essersi comportata innocentemente. E’ importante però sottolineare che non abbiamo ancora preso posizione sulla questione della sospensione”.
Lo stop impedisce alla fuoriclasse scandinava - dominatrice della scorsa stagione, in assenza della connazionale Marit Bjoergen - di prendere parte all'avvio di Coppa. Un fermo che toglie Johaug dall'iniziale bagarre, a Ruka, Lillehammer, Davos e La Clusaz. Il possibile rientro in Svizzera - Val Mustair - sul finire di dicembre.
Johaug deve dimostrare la sua estraneità al caso, certificare una leggerezza, respingere l'accusa, pesante, di assunzione volontaria di sostanze proibite. A una prima lettura, la versione di Therese appare credibile, la vicenda frutto di un errore imperdonabile, ma priva di un intento chiaro di trarre vantaggio. Il farmaco incriminato è il clostebol, un anabolizzante contenuto in una crema per il labbro, assunto dall'atleta durante il ritiro a Livigno su consiglio del medico della nazionale.
L'assunzione di colpa di Fredrik Bendiksen - medico della nazionale - attenua solo parzialmente la posizione di Johaug, la vicenda rischia di contaminare la credibilità dello sci di fondo norvegese e mondiale. La scossa rafforza i dubbi sul movimento e dà forza al partito anti - Norvegia, già sul piede di guerra in occasione della positività di Sundby.
Il rischio, per Therese, bella e vincente, amata e riverita, è alto.