Prime le lacrime, poi la redenzione: la parabola di Alex Schwazer, il marciatore altotesino trovato postivo al test antidoping tre anni fa, potrebbe adesso risollevarsi con la qualificazione del marciatore alle Olimpiadi di Rio 2016, poiché la squalifica scadrà giusto in tempo per le qualificazioni.
La notizia, nemmeno a dirlo, ha diviso in due l'opinione pubblica e dei media: sulla Gazzetta dello Sport, ad esempio, due articoli hanno chiarito perché è giusto che partecipi all'evento continentale o perché no. E il discorso che riguarda lui fa riemergere a galla quello più ampio: giusto condannare definitivamente chi ha scelto la via più facile?
Senza girarci troppo attorno, il mondo dello sport è pieno zeppo di atleti che hanno fatto ricorso al doping: da Schwazer a Lance Amstrong, passando per Justin Gatlin e Asafa Powell, insieme a moltissimi altri. Ma la “redenzione” non è mai stata privata a nessuno o quasi, come testimonia proprio quest'ultimo corridore giamaicano che, dopo la squalifica, è tornato in pista.
Certo, il caso del marciatore di Vipiteno ha scosso non poco il pubblico: era il ragazzo pulito, che mai ci saremmo aspettati barasse, con una fidanzata meravigliosa (Carolina Kostner) e palmàres di tutto rispetto. Poi, lo scandalo: le lacrime, bugie e rivelazioni che emergono sempre più, la squalifica del CONI sia per lui che per la pattinatrice, accusata di averlo coperto.
Adesso Schwazer ha espresso la volontà di tornare a gareggiare, consapevole che nelle scelte italiane rimane comuque una delle uniche alternative, dopo i fallimenti alle ultime competizioni internazionali. La “favola” dell'atleta che torna per farcela da solo, quindi, lascia il tempo che trova, soprattutto dopo quello che aveva dichiarato in seguito allo scandalo.
Alla domanda sul “perché”, infatti, l'altoatesino aveva risposto che lo aveva fatto perché odiava la marcia: era bravo, sì, ma i ritmi degli allenamenti estenuanti lo avevano distrutto, gli avevano fatto odiare quello sport che lo aveva portato in cima al mondo dello sport. E adesso vi vuole ritornare: viene veramente da chiedersi il perché di tutto ciò.
Forse è l'unica cosa che sa fare, dopo tutti questi anni da protagonista, ma scegliere in un mondo che si ha detto di non amare non pare una scelta geniale. C'è forse qualche interesse dietro? “Favori” da ricambiare, successi da restituire con i premi? Ogni dubbio è solo supposizione, magari invece l'atleta è stato veramente folgorato sulla via di Damasco, ma permettetemi di essere scettico.
Sul fatto, quindi, se è giusto o meno che lui torni in campo la risposta è no. Ma non per moralismi di fronte al suo passato, quanto nell'insegnamento che darebbe: ho detto che disprezzo questa displina ma continuo comunque. Allora non è più sport, diventa un mestiere come un altro che facciamo perché bisogna, per campare, e non perché ci appassiona: non esiste morte peggiore a cui assistere a un'Olimpiade.