Orgoglio italiano del pattinaggio di figura, ha regalato emozioni e gioie ad appassionati e non e ha colpito per la sua umanità e semplicità, andando al di là del prestigio sportivo che ha dato all’Italia in questi anni. Stiamo parlando di Carolina Kostner. Il suo palmarès conta sette campionati italiani, cinque ori europei, un titolo mondiale e un bronzo olimpico. Ma questa è solo una piccola anche se gloriosa parte degli strepitosi risultati ottenuti in carriera dalla pattinatrice altoatesina.
Strega il pubblico quando indossa i pattini, infiamma il ghiaccio con la forza ed eleganza che l’hanno sempre contraddistinta ed è diventata ormai uno degli esempi e dei modelli di tutte quelle bambine che mettono piede sul ghiaccio per la prima volta, sognando un giorno di diventare come la loro beniamina.
Ma Carolina Kostner è molto di più di una pattinatrice. Nei suoi occhi si legge l’amore per questo sport, che è la sua vita, che le ha regalato tanto. A sua volta lei ha dato molto al pattinaggio, mettendo sulla pista tutto quello che ha, tutto quello che è. L’affetto ed il calore che il pubblico, i suoi fan le riservano, sono la dimostrazione della campionessa che vedono in lei, tanto dal punto di vista sportivo quanto umano.
Vavel Italia ha avuto il privilegio di poter rivolgere alcune domande a Carolina Kostner, riportate di seguito.
Facendo un bilancio della tua carriera, quali sono i programmi o i momenti che ricordi con più piacere o che ti hanno emozionato particolarmente?
“È veramente complicato scegliere un solo programma o momento emozionante della mia carriera. Ce ne sono alcuni che mi sono rimasti nel cuore perché hanno avuto una storia un po’ particolare. Per esempio, il corto della stagione 2012 con cui ho anche vinto il mondiale: “Il Trio” di Shostakovich. All’inizio non ci aveva colpito particolarmente, anzi era un brano quasi fastidioso da ascoltare, successivamente è divenuta la melodia più cantata anche sulla pista di allenamento. Quindi spesso quei programmi che inizialmente sembravano un po’ particolari, un po’ fuori dal normale, con l’incognita se fossero accettati o meno dal pubblico e dai giudici mi sono rimasti veramente nel cuore perché mi è sempre piaciuto fare cose diverse riuscendo a trovare nuove idee, nuovi stili. Poi ci sono i due programmi dell’Olimpiade di Sochi: l’Ave Maria e il Bolero. Abbiamo provato a fare un’esibizione con un forte impatto emotivo: dall’etereo dell’Ave Maria, con la leggerezza e i movimenti classici in contrasto con il Bolero di Ravel con movimenti molto più moderni, contemporanei e decisamente molto più terrestre e passionale. Cercare di presentare e di essere molto creativi è l’aspetto che preferisco nel mio sport.
Di momenti che mi hanno emozionato ce ne sono tantissimi e la maggior parte non si sono visti in televisione: dagli allenamenti la mattina presto in un Palaghiaccio vuoto alla prima volta che sono riuscita a eseguire il mio primo salto triplo. Che gioia e che sorpresa! Mi ricordo che era stato in una gara. Io, fino a quel momento, ero sempre caduta nel provare quel salto e ad un tratto in gara ho detto: “lo provo!” e son rimasta in piedi, sorprendendo me stessa in primo luogo, poi la mia allenatrice ed i giudici.
Ecco, amo ricordare soprattutto quei momenti che sembrano banali però semplici e autentici: l’abbraccio con mia mamma dopo la vittoria della medaglia a Sochi, lo scambio di sguardi col mio allenatore dopo una gara fatta bene dove sono riuscita a fare tutto quello che mi aspettavo, il tornare a casa e vedere tantissimi manifesti dappertutto a Ortisei con la gente che festeggiava. Momenti bellissimi!”.
Il pattinaggio non è solo partecipare alle gare ed eventualmente vincerle, ma è anche una filosofia di vita. A te cosa ha insegnato?
“Il pattinaggio riflette perfettamente la storia della mia vita: gli alti e i bassi, le tante lezioni da imparare. Come dico spesso la vita ti mette prima alla prova e poi ti insegna la lezione! Io posso dire di aver imparato soprattutto dai momenti difficili. Dai momenti di sconforto, ad esempio, ho imparato ad essere paziente, a continuare a credere nei miei sogni e nelle mie forze proprio quando tanta gente ti abbandona o ti dimentica o non si interessa più perché non stai al vertice del mondo. Quei momenti ti rendono più forti. E poi lo sport in generale ti insegna il fair play, ad essere disciplinato, ti insegna che anche se hai un talento devi lavorarci ogni giorno! Sono sicura che qualunque persona ci mette veramente l’impegno un giorno o l’altro avrà una soddisfazione. Per quanto mi riguarda, tutti i sacrifici che ho fatto fino ad ora, sono stati pienamente ripagati!
Il pattinaggio, poi, è uno sport che ti insegna a risollevarti dopo ogni caduta dissimulando la fatica. Tanti spesso mi chiedono: “Ma siete obbligati anche se cadete a sorridere e continuare?”. Da un lato è vero, ma dall’altro è anche e soprattutto la volontà di portare a termine il programma o la coreografia con rispetto, allegria e gioia. Non credo che una caduta possa disturbare un’intera esibizione.
Questo sport ti aiuta ad accettare le sconfitte, ad accettare che non sempre andrà bene. Noi siamo sempre alla ricerca della perfezione, ma alla fine ho imparato che la perfezione di per sé è fredda. È più bella la spontaneità. Qualche volta un piccolo inciampo, un movimento che al momento ti sembra non essere perfetto o non ti viene bene può essere esattamente ciò che renderà la coreografia umana, artistica e veramente speciale”.
Hai iniziato a pattinare quando avevi quattro anni. Cosa ti ha fatto capire che questo sport sarebbe diventato la tua vita?
“Ho iniziato a pattinare da piccola, avevo 3-4 anni. So che le prime volte che ho messo i pattini era ancora prima, però fino all’età di 14 anni ho fatto anche altri sport: ho giocato a tennis, ho sciato e volevo diventare una campionessa di sci come mia cugina Isolde. Devo ammettere di aver capito subito che il pattinaggio era la mia vita. Quando rientravo a casa dopo i corsi continuavo a ballare, a mettere la musica e ad immaginare coreografie per uno spettacolo piuttosto che per una gara importante. Sin da subito mi sono appassionata al lato artistico del pattinaggio: ai costumi, alla musica, al danzare, all’essere in movimento. E immediatamente dopo, alla disciplina tecnica, quindi quando ho compiuto 14 anni, età in cui dovevo focalizzarmi su un obiettivo e su ambizioni agonistiche ho scelto il pattinaggio, senza difficoltà, senza alcun dubbio”.
Gli ultimi Giochi Olimpici a Soci ti hanno regalato molte soddisfazioni. Come sono nati i due programmi che hanno emozionato così tanto?
“I due programmi di Sochi sono nati strada facendo ed è esattamente quello il bello! Non è stato deciso tutto a tavolino e poi messo in atto. È stato un processo di tante decisioni prese in un periodo di ben 2 anni. Il Bolero, per esempio, l’ho costruito, l’ho creato insieme alla mia coreografa Lori Nichol in Canada nel 2012 con l’ambizione di portarlo alle Olimpiadi senza però farlo vedere prima. Invece mi era piaciuto così tanto, mi aveva così affascinato quella musica che l’ho presentata già nel 2013 con la stagione pre-olimpica. Il Bolero asseconda davvero il mio ritmo! Tanto il Bolero quanto L’Ave Maria sono brani costruiti su tanti livelli di melodia e dopo un anno intero di allenamento e ascoltandole continuamente mi sono piaciuti sempre di più.
L’Ave Maria, d’altra parte, è nata un po’ più per caso. Io avevo creato un programma su una musica di Dvorak che si chiama Humoresques proprio per le Olimpiadi però, dopo la prima metà della stagione 2013, ad ottobre/novembre non avevo trovato sul ghiaccio la mia tranquillità forse perché non riscontravo molto entusiasmo da parte del pubblico. Sono sensibile e mi accorgo velocemente se una coreografia piace o non piace. Poi, ovviamente, ad inizio stagione non ero ancora completamente in forma, avevo un dubbio se dipendesse più da come io lo presentavo o se proprio la musica o la coreografia non fossero calibrate sulla mia personalità tecnica e artistica. Arrivata ad un punto, un po’ prima di Natale io e la mia coreografa Lori Nichol abbiamo parlato, le ho confessato di nutrire dei dubbi e lei ha detto: “Beh, alle Olimpiadi la cosa che noi non vogliamo avere sono i dubbi!” e quindi ci siamo messe a cercare una musica che sentissi veramente mia. Io volevo una musica che emozionasse. Quando ascoltammo questa versione dell’Ave Maria avevo le lacrime agli occhi e ho detto: “è questa!”. Grazie alla mia coreografa che mi ha dato il coraggio di cambiare anche poco prima delle Olimpiadi, abbiamo creato veramente due programmi bellissimi che non solo sono riuscita ad eseguire al meglio in quella gara, che qualche volta ancora non ci credo, ma mi hanno dato tantissima gioia nel presentarli al pubblico, a provarli, a sentirli miei e mi rimarranno sicuramente nel cuore per sempre”.
Hai un bel rapporto con il tuo pubblico e vieni sempre circondata da tanto affetto. Quanto è importante per uno sportivo sentire il grande calore dei propri fan e quanto influisce questo in un’esibizione o in una gara?
“Il rapporto con il pubblico, con i tifosi è un aspetto molto simpatico ed interessante. Pattiniamo tante ore da soli nei Palaghiaccio e poi vedere uno stadio pieno di gente che è venuta apposta a vedere te è una grandissima gioia, un grandissimo onore.
In alcune situazioni ho vissuto il pubblico con grande pressione, per esempio, a Torino 2006 ho avuto difficoltà a vedere il lato positivo fino al momento in cui ho capito che il pubblico ti dà tantissima energia, ti dà un affetto, ti dà il tifo che ti sprona negli ultimi minuti del tuo programma. Quando sei stanco e hai male alle gambe, è il pubblico che ti dà coraggio, la forza e l’energia che ti serve per arrivare fino alla fine. E quindi, c’è voluto un po’ finché sono riuscita a vedere l’atteggiamento del pubblico in modo positivo e sono molto grata per tutto l’affetto che ricevo. Ne abbiamo davvero bisogno. Sentire, inoltre, la connessione con i tifosi e qualche volta il loro silenzio è un momento fantastico è come se ci fosse un filo tra te e le persone che ti guardano e vedi che cercano di stabilire un feeling, di apprendere ogni momento della tua presenza in pista e quindi, poter dare qualcosa indietro per l’affetto ricevuto per me è molto molto importante”.
Pattinare con un campione come Stéphane Lambiel con l’Arena di Verona come scenario è stato di grande effetto per il pubblico presente e quello che ha visto l’evento da casa. Cosa ti ha lasciato la bellissima esperienza dell’Arena come artista e come persona?
“Lo spettacolo all’Arena di Verona mi ha dato sicuramente tantissime emozioni. Potermi esibire in un’arena dove si respira l’arte, la lirica, gli spettacoli e si vive anche un po’ quella magia del passato, dei grandi romani, della nostra grande storia è molto particolare.
Pattinare con Stéphane che, per me, è il più grande artista sul ghiaccio del momento è poi uno stimolo ad apprendere e ad imparare da lui. Qualche volta ci alleniamo e mi ritrovo a guardarlo perché ti seduce, ti conquista, ha una presenza in pista che è incredibile che riempie tutta l’arena e che va oltre. Spero di continuare questa bellissima collaborazione con lui e di portare sulle piste altri spettacoli”.
Milly Carlucci con “Notti sul ghiaccio” ha riportato e continua a portare il pattinaggio anche nelle case degli italiani che magari non lo seguono a livello agonistico. Quanto è importante per questo sport diventare popolare ed essere seguito su larga scala anche da chi non è esperto?
“Sapere che il pattinaggio che è la passione della mia vita, raggiunge le case degli italiani e sentire dire da qualcuno che ha iniziato a guardare il pattinaggio perché mi vede come un modello da seguire è un grandissimo onore e un grandissimo piacere e spero che continui veramente così.
Durante la mia carriera, ho proprio vissuto questa crescita di interesse da parte del pubblico, ed è una cosa bellissima.
Anche Milly Carlucci sta portando veramente il pattinaggio nelle case degli italiani e io spero che tutti si divertano a partecipare e a guardare questo sport e speriamo che vada avanti così”.
Hai realizzato il sogno di poter vincere diverse medaglie e poter partecipare a campionati prestigiosi, come le Olimpiadi invernali. Cosa consigli a chi vorrebbe intraprendere la strada del pattinaggio ma incontra delle difficoltà, che siano economiche o logistiche?
“Io, infatti, mi sento veramente molto fortunata e onorata di aver partecipato ad Olimpiadi, a campionati, di vincere medaglie e come ho detto prima, solo adesso mi rendo conto di ciò che ho imparato in questi anni.
La cosa magnifica infatti non è stata vincere quelle medaglie, ma è stato vincere le mie paure. Comprendere che ci vuole passione e coraggio per perseguire la propria strada nel bene e nel male. Credere nei propri desideri e nelle proprie capacità e mettercela tutta!
E quindi, a tutti quelli che vogliono intraprendere la strada del pattinaggio o di qualsiasi sport, ho voglia di trasmettere un messaggio positivo: lo sport ti mette in movimento, fai nuove amicizie in tutto il mondo, nel migliore dei casi puoi viaggiare, impari nella gara a gestire le tue ansie, a gestire le tue paure, impari a migliorare ogni giorno un pochino ad avere la pazienza.
Ho fatto tantissime e bellissime amicizie che ancora oggi sono così contenta.
Un altro aspetto è poi che non tutti i grandi talenti diventano grandi campioni. Ci sono talmente tante variabili nella vita di un’atleta che non dipende tutto dal talento o dal sacrificio, ma bisogna anche avere un po’ il coraggio di vedere e di afferrare quelle occasioni che si presentano nella vita e avere la pazienza di far passare anche i momenti difficili, di rialzarsi dopo le cadute e di vedere sempre il lato positivo, di crederci fino in fondo e di provarci.
Mia mamma mi ha sempre detto di pattinare finché mi dà gioia e continuo a dirlo anche io! Una delle cose più importanti è portare avanti un progetto fino a quando ti dà il sorriso, energia, gioia e poi di avere anche il coraggio di ammettere quando è finita. Alle volte la propria strada prende un’altra direzione e occorre mettersi sempre in gioco e in discussione. Questo aspetto non è sempre facile, ma fa parte della vita di un atleta e dello sport in generale”.