I campioni di sport si possono dividere in varie categorie: ci sono i granitici, coloro che sono in tutto e per tutto una garanzia; gli extraterrestri, atleti talmente dotati da erigersi ampiamente al di sopra della concorrenza; e i geni, individui fantasiosi, un po’ estrosi, spesso ai limiti della pazzia.
Chi è minimamente appassionato di sci alpino non avrà difficoltà a inquadrare lo statunitense Bode Miller quale miglior rappresentante, appunto, di quest’ultima razza: un funambolico giocoliere delle nevi, capace di tenere incollati su di sé milioni di sguardi e produrre un’altalena di emozioni incontrollabili.
Domenica, dopo i pensieri di ritiro e lo stop forzato di oltre un anno, il cow-boy di Franconia ha ripercorso i suoi passi memorabili, regalando spettacolo ed entusiasmando gli animi, fedele a quella sciata poco ortodossa e precaria, che obbliga al fiato sospeso dall’apertura del cancelletto al taglio del traguardo. Il balzo alla discesa sulla Stelvio su di un solo sci è giunto immediato, così come a tutte quelle gesta estreme e fuori dall’ordinario, che lasciano increduli e sbigottiti. Niente calcoli, giù a tutta forza e spallucce verso i rischi: una concezione dello sport più leggera, una filosofia legata al gioco e al divertimento, tipicamente americana, che tuttora affascina, attrae e contagia le nuove generazioni.
Bode è un trentaseienne risorto dalle ceneri, ma non è singolare che nello stesso giorno Ted Ligety ribadisca il proprio dominio incontrastato in slalom gigante e l’altra convalescente, Lindsey Vonn, sfiori il podio. Senza dimenticare gli exploit recenti della ragazzina terribile Mikaela Shiffrin. Se per il biondino si sono esaurite le parole, dopo una sequela infinita di affermazioni inequivocabili, per la regina della velocità sorprende la rapidità di ripresa della confidenza, a dimostrazione di una mentalità spericolata ma non incosciente, che accomuna e stimola tutti i componenti.
Miller diviene così l’alfiere di un gruppo di individualità eccellenti, che a Sochi farà sognare ed esaltare a prescindere dalle medaglie conquistate, perché così è e così deve esser vissuto lo sci: sorrisi, agonismo, fantasia e crescita. Un inno alla classe e alla genialità intrinseca contro il nuovo modello troppo scientifico e ragionato. Una visione magari non completamente condivisibile, ma al momento estremamente redditizia, sia dal lato sportivo che da quello prettamente umano.