Un vulcano, Maurizio Zamparini. Discusso, discutibile, di certo un persongaggio. Dichiarazioni scomode, senza peli sulla lingua, battaglie mediatiche, lotte interne - con l'allenatore di turno - esterne - con i potenti a capo del sistema, un uomo innamorato del calcio, istintivo, incline all'errore, per un eccesso di carattere. Il Presidente del Palermo si confessa alla Gazzetta dello Sport, tratta temi scottanti - dalla famiglia alla religione - ma non manca un accenno al mondo del calcio, il suo mondo.
Il Palermo attende, al Barbera, il Milan, in una sfida che mette a confronto due squadre separate da soli tre punti. Il Milan è in fase di rilancio, il Palermo vive un periodo di naturale appannamento, dopo la scorpacciata di qualche mese fa. Zamparini, assediato, deve difendersi dalle sirene di mezza Europa, sul piatto Dybala, Vazquez e una cascata di milioni. Si prospetta una calda estate, ma al momento conta il campionato e il rapporto con i diretti avversari non è certo idilliaco.
Zamparini va all'attacco, come di consueto, e riserva a Galliani e al Milan un'accoglienza di fuoco "Galliani è figlio di suo papà, non c'è bisogno che vi spieghi chi è suo papà. Lo aiutai a diventare Presidente della Lega, ma gli dissi "adesso devi fare gli interessi di tutti". Col cavolo: fece solo gli interessi del Milan. Come Berlusconi ha sempre fatto solo quelli di Mediaset".
Interessante anche l'approccio col mondo del pallone. Il calcio e il giovane Zamparini. Una storia che racconta tanto dell'uomo, della voglia di decidere e primeggiare, dai campetti di periferia alla Serie A, da giocatore a Presidente.
"Avevo le gambe come stuzzicadenti, ma ero un grande colpitore di testa e avevo una buona tecnica. Giocavo mezzala, a volte punta, oggi sarei trequartista, ma allora quel ruolo non esisteva. Ho seguito il pugilato, oggi guardo la NBA, ma in testa ho sempre avuto il pallone. Da quando avevo cinque anni: il campetto era proprio sotto casa mia e mia zia, che sposò un capitano inglese, da Glasgow mi portò un paio di scarpe da calcio alte fino alla caviglia e un pallone di cuoio, di quelli con le cuciture in rilievo. Era l'unico pallone del paese e ce l'avevo io, dunque le partite erano quando decidevo io e le squadre le facevo io".
Un solo vizio, il calcio, un ciclone, dalla campagna al campo, dai giorni di strada al Barbera.