Nel nome di Madiba: la leggenda degli Springboks iridati del 1995
La festa degli Springboks dopo la vittoria del 1995

« Nessuno sceneggiatore di Hollywood avrebbe potuto scrivere un copione migliore … quando Nelson Mandela mi diede la Coppa mi disse “Grazie per quel che ha fatto per il Sudafrica”, ma io gli risposi: “Grazie per quel che ha fatto Lei!” ». A pronunciare queste parole fu François Pienaar, terza linea nonché Capitano degli Springboks che nel 1995 vinsero proprio in Sud Africa la loro prima Coppa del Mondo di rugby. Correva l’anno 1995: il Sud Africa del rugby può finalmente prendere parte alla Coppa del Mondo di Rugby dopo che, causa Apartheid, era stato escluso dall’edizione precedente, disputatasi in Nuova Zelanda.
Non c’era spazio, nel mondo dello sport, per una pese come il Sud Africa che si fondava sul razzismo e sulla discriminazione razziale, dove i bianchi giocavano esclusivamente a rugby e cricket, mentre i neri esclusivamente a calcio .In quel 1995 però, a Mandela riuscì il miracolo: bianchi e neri uniti sotto l’unica bandiera degli Springboks, tutti assieme a spingere un manipolo di uomini – bianchi, ma che importanza aveva ormai? – alla conquista del mondo ovale.

Avversario dopo avversario, partita dopo partita: stadi sempre pieni in un tripudio di tifo per gli eroi di casa. Che ai quarti si sbarazzano facilmente di Samoa (42-14) davanti ai cinquantamila spettatori presenti a Ellis Park, mentre in semifinale hanno ragione dei galletti francesi in una partita molto più tirata, conclusasi 19-15. Resta solo la finale, e non è una partita qualsiasi: perché al di là dell’enorme posta in palio, di fronte ci sono niente meno che gli All Blacks, l’impersonificazione in maglia e calzoncini neri dello spirito e della leggenda del Gioco. E in quegli All Black ci giocano, fra gli altri, Andy Merthens, una delle migliori aperture di tutti i tempi, Zinzan Brooks, terza centro con piedi di apertura, capace di inventare contro l’Inghilterra un drop da 50 metri teleguidato in mezzo ai pali, e Sean Fitzpatrick, tallonatore di carisma e personalità straripante, spesso considerato dagli avversari come un secondo arbitro in campo. Ma, soprattutto, c’era lui: Jonah Lomu. Un metro e novantotto per centoventi chili di pura, indomabile, potenza. Nella già citata partita contro l’Inghilterra, che ha dato ai Neri il pass per la finalissima, il gigante Jonah ha fatto a pezzi da solo l’intera difesa di Sua Maestà. Quattro mete segnate e il terrore costante negli occhi degli avversari, che han provato in ogni modo a fermarlo, senza riuscirvi. Più che una partita, quella semifinale fu una mattanza, molto più di quanto possa suggerire il pur pesante parziale di 45-29: dopo 25 minuti il punteggio recitava 25-0 Nuova Zelanda, con gli inglesi che avrebbero mosso il tabellino solo al minuto 36, grazie a un piazzato di Andrew.
Superato lo scoglio inglese, fra i Tuttineri e la seconda Coppa del Mondo di fila rimaneva solo il Sud Africa, e all’Ellis Park tutto era pronto per la resa dei conti finale.

24 giugno 1995. Sono 63000 gli spettatori che affollano l’Ellis Park di Johannesburg per il capitolo più importante dell’intera saga di sfide fra Sud Africa e Nuova Zelanda, o, per meglio dire, fra Springboks e All Blacks. I padroni di casa per coronare una delle più belle favole sportive della Storia, i neozelandesi per mettere in bacheca la seconda Webb Ellis Cup di fila. Nel 1991 Francia aveva dovuto inchinarsi ai Blacks. All’Ellis Park sarà però tutta un’altra storia: Jonah Lomu non riesce a essere decisivo come al suo solito. Nessuna meta per lui, nessuna meta in assoluto. La finale è una dura, logorante, battaglia a suon di piazzati e di drop, e la scena è tutta per i mediani di apertura, con Joel Stransky e Andy Merthens che danno vita a un personalissimo duello. Non bastano gli ottanta minuti regolamentari, al termine dei quali il punteggio è inchiodato sul 9 pari, dopo che Merthens aveva dapprima impattato e poi mancato l’occasione per infilare i tre punti che avrebbero potuto rivelarsi decisivi. Nell’extra time la musica non cambia: un piazzato a testa porta la situazione sul 12 pari. Poi la svolta decisiva: a sette minuti dalla fine Joel Stransky prova il drop da trenta metri. Un traiettoria perfetta che inchioderà il punteggio sul 15-12. Il fischio finale dell’inglese Ed Wilson è il preludio a una delle più famose cartoline della storia sportiva: Nelson Mandela, vestito con la polo degli Springboks e in testa un cappellino da cricket, che consegna la Coppa a François Pienaar, capitano della squadra neo-campione del Mondo.

“Grazie per quel che ha fatto per il Sudafrica” disse il primo “Grazie per quel che ha fatto Lei!” rispose il secondo. Bisbigli nella confusione di oltre sessantamila sudafricani festanti.Per una volta senza divisione di razza o di colore della pelle, ma uniti sotto l’unica grande bandiera del rugby. Uniti a celebrare la più grande vittoria di quel sognatore che non ha mai voluto arrendersi, Nelson Mandela.

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