Perdersi per poi riprendersi, fin quando è possibile. Questa, forse è la dimensione neanche troppo misteriosa che avvolge il Faraone giallorosso, Stephan El Shaarawy. Un ragazzo per bene, dotato di talento fuori dal comune, ma spesso e volentieri limitato da situazioni o eventi che, sempre e costantemente finiscono per riportarlo al punto di partenza.
Il Faraone, demoralizzato dalla catastrofica esperienza al Monaco, era tornato in Italia giusto dodici mesi fa. Dodici mesi di Roma, accanto all'uomo che, quando nessuno credeva più in lui, gli ha dato una terza occasione: Luciano Spalletti.
Rapporto di stima, rispetto, in alcuni casi anche di amore e odio; ma nel calcio tutto è lecito, anche qualche frizione tra allenatore e calciatori. Il biglietto da visita con il quale l'italo egiziano si è presentato ai suoi nuovi tifosi, un rossonero sbiadito dal tempo e dagli infortuni, ha subito lasciato spazio al giallorosso vivo: 8 gol in 16 presenze. Media di un gol ogni due partite. El Shaarawy diventa un fattore determinante nella rincorsa - poi fallita - della Roma al secondo posto del Napoli.
Bene comunque. Il Faraone è tornato e la Roma, spinta a suon di gol, si è decisa: in estate El Shaarawy diventata un calciatore giallorosso a tutti gli effetti. Il club capitolino lo riscatta dal Milan, - al quale segna forse il suo gol più triste, sotto la sua curva, la Sud - che incassa una cirfa vicina ai 14 milioni. Per molti, il vero affare l'ha fatto la Roma, che manda El Shaarawy all'europeo con la tranquillità di ritrovare lo stesso Stephan della prima metà del 2016. Al ritorno però, le cose cambiano inaspettatamente. Spalletti punzecchia il Faraone, che inizia ad accomodarsi in panchina: "non è in forma"; "non è tattico quanto Perotti"; "non è veloce quanto Salah".
Spalletti non usa mezzi termini, e la prima parte di stagione, vede il sorriso e la cresta di El Shaarawy scendere sempre più. Anche il nuovo commissario tecnico Azzurro gli volta le spalle, costringendo il Faraone El Shaarawy a ripartire dal basso. Già, proprio come il brano di uno sei suoi rapper preferiti, Stephan inizia a remare controcorrente, cercando, per quanto possibile, di riguadagnarsi la fiducia di Spalletti. Quando è chiamato in causa - non spessissimo - EL non sbaglia, anzi, segna e diverte, ma con un velo di malinconia nascosto nei suoi occhi.
Il ruolo di terzo incomodo, è chiaro, non gli va a genio, ma, al momento, l'uomo che tanto l'ha voluto non lo ritiene adatto per formare lo starting XI. Poco importa; Stephan, che lotta anche contro i soliti infortuni mucolari e alle caviglie, prosegue la sua marcia a testa bassa. La grande prestazione con il Crotone gli da stimoli per migliorare; la doppietta in Europa League restituisce quelle certezze perse.
Ieri, all'ultima recita del suo anno in giallorosso, El Shaarawy è stato decisivo. Lanciato in campo dal primo minuto, il Faraone ha sviato i problemi della Roma, sotto nel punteggio fino al capolavoro disegnato dal 22 su calcio di punizione. Un gol bello e pesante, che ha dato il là alla rimonta giallorossa. Stephan, però, non ha esultato. Uno sguardo alla panchina. Una borraccia per dissetarsi, e qualche cinque scambiato con i compagni. La strada verso la gloria è ancora lunga; la fame è quella giusta.