Morgan De Sanctis si mette in prima linea, tocca a lui rispondere alle "accelerazioni" verbali di Gervinho. L'ivoriano si schiera al fianco di Garcia e attacca la Roma, il numero uno replica per le rime. Un atteggiamento non professionale, questo alla base dei problemi di Gervinho nella Capitale. De Sanctis sottolinea le lacune caratteriali del giocatore, ora ricoperto dalla pioggia di milioni cinese.
“Il discorso che ha fatto Gervinho è stato coerente con quello che è stato il suo percorso di carriera, quindi non mi sorprende”.
“Certe frasi non mi hanno sorpreso, anche durante la gestione Garcia c’erano stare alcune sue mancanze rispetto a ciò che era considerato un discorso comune, di squadra, che comprendeva anche lo stesso Garcia e tutti noi. Quello che lui dice adesso è verissimo, Garcia molto probabilmente gli ha dato quasi tutto ciò che lui ha avuto in ambito sportivo, quindi credo che il suo discorso sia legittimo. Fossi in lui però mi farei alcune domande riguardo ad alcuni comportamenti che ha avuto durante la permanenza di Garcia a Roma e ad alcune circostanze in cui si sarebbe potuto comportare meglio”.
Con Spalletti una chiara inversione di rotta, specie nell'approccio alle partite, al campo. Il tecnico italiano non fa sconti, accetta anche il duello frontale con bandiere (Totti) e senatori, per mantenere al livello più alto il concetto di squadra. Fondamentale, all'interno di un gruppo, imporre delle regole, non accettare deviazioni dal regime stabilito.
De Sanctis difende, parzialmente, l'operato di Garcia, ammette le colpe dei giocatori e approva il cambio tecnico, un segnale utile per riprendere la retta via. La Roma può giocarsi le prime posizioni, il Napoli è alla portata di un undici che da tempo vince e convince, con buona pace di Gervinho, oggi lontano da Roma e dal calcio che conta.
“L’allenatore deve essere garante di una serie di comportamenti nonostante i giocatori non siano tutti uguali. Alcuni calciatori hanno più talento di altri, ma nei comportamenti e nel contesto di squadra devono comportarsi tutti allo stesso modo. L’allenatore e la società insieme devono essere garanti di questo tipo di linearità”.
“Eravamo partiti con delle prerogative che avrebbero dovuto portarci a vincere qualcosa, ma non è successo non a causa di allenamenti più leggeri, ma perché c’era la necessità di mettere di nuovo i giocatori davanti alle proprie responsabilità senza avere più alibi. Alibi che invece noi calciatori siamo stati un po’ furbetti a prenderci nell’ultima parte della gestione Garcia”.